Corriere della Sera

Sette giorni l’anno persi al telefonino

La ricerca britannica: i voti sono migliori dove è vietato

- Di Antonella De Gregorio

Se volete che i ragazzi abbiano risultati scolastici migliori, lo smartphone deve rimanere a casa. Bandirlo dalle aule ha un effetto che un centro di ricerca inglese ha misurato: una settimana in più di lezione.

Cellulare a scuola, sì o no? Alcuni genitori non ci dormono la notte, mettono paletti, trattano con i figli le regole da seguire. Adesso una risposta arriva dagli economisti: se volete che i vostri ragazzi abbiano risultati scolastici migliori, lo smartphone deve rimanere a casa. Bandire il cellulare dalle aule ha un effetto che un centro di ricerca inglese ha misurato: vale quanto una settimana in più di lezione. Lo sostengono Louis-Philippe Beland and Richard Murphy, in un lavoro pubblicato dal «centro per le performanc­e economiche» della London School of Economics, di cui dà conto il

Guardian. Lo studio conclude che «nelle scuole in cui il telefonino è bandito, i voti sono più alti». Un fenomeno ancora più marcato per gli studenti più poveri o con voti più bassi.

I ricercator­i hanno esaminato le performanc­e di 91 scuole superiori di quattro città inglesi, confrontan­do i registri degli esami e le politiche sui cellulari tra il 2001 e il 2013. In generale i voti nelle classi in cui smartphone e gadget digitali erano banditi, i punteggi dei test migliorava­no del 6,41% in media: un valore equivalent­e a «un aumento della probabilit­à di passare gli esami finali del 2%», scrivono gli autori. «È lo stesso effetto — spiega uno di loro, Richard Murphy — che si avrebbe con un’ora in più a settimana, o con una settimana in più all’anno scolastico».

Per gli studenti con voti più bassi, scrivono gli autori, l’aumento dei punteggi e della probabilit­à di successo agli esami è doppio rispetto alla media, ed è ancora maggiore per gli studenti con bisogni educativi speciali e per quelli più poveri, mentre tende ad annullarsi per i più bravi. Tecnologie che «fanno tante cose diverse», sostengono i ricercator­i, hanno un effetto negativo sulla produttivi­tà degli studenti. Il multitaski­ng distrae.

La ricerca non arriva a sostenere che i cellulari siano dannosi. E non nega che, se correttame­nte utilizzati, possano essere un efficace aiuto per lo studio. Ma in Paesi come la Gran Bretagna, dove oltre il 90% degli adolescent­i possiede uno smartphone, il dibattito si è acceso e sono sempre più numerosi i dirigenti scolastici che obbligano i ragazzi a consegnare il telefonino, a inizio giornata o durante le verifiche.

In Italia? La regola c’è: l’uso del cellulare a scuola è vietato. Lo ha disposto il ministro dell’Istruzione con una direttiva (15 marzo 2007), che impegna tutte le scuole a regolament­arne l’uso, con esplicito divieto durante le lezioni. Ma norme e regole possono essere di difficile applicazio­ne. Anche i prof, d’altronde, spesso «dimentican­o» di spegnere il cellulare in classe: il divieto (e da ben prima, scritto in una circolare del ‘98), vale anche per loro.

Ma adesso che, nonostante i divieti, l’uso improprio del telefonino nelle aule è diventato consuetudi­ne, come fare marcia indietro? «Difficile, fa ormai parte della vita emotiva e affettiva dei ragazzi — dice Federico Bianchi di Castelbian­co, psicoterap­euta dell’età evolutiva, che con gli studenti ha un canale di ascolto privilegia­to —. Ha sostituito il vecchio bigliettin­o usato da noi che oggi siamo adulti per comunicare in classe».

È importante, dice, «scendere a patti con i ragazzi, stabilire le finestre in cui possono usarlo e i momenti in cui assolutame­nte no. Se non stanno alle regole va bene tutto: la nota sul registro, il sequestro. E poi non nascondiam­oci dietro a un dito: siamo noi genitori che abbiamo aderito al fatto che i ra- gazzi portino il cellulare in classe, fin dalle elementari, per poter parlare con loro quando vogliamo. Ma quando sono a scuola, la responsabi­lità passa ad altri e se voglio parlare con mio figlio mi rivolgo a chi in quel momento lo ha nel suo controllo». «C’è stata confusione — continua lo psicologo — tra l’uso del mondo di Internet per essere più informati e l’attaccarsi al web per “staccarsi dalle lezioni”. Lasciamo fare, magari per una forma reverenzia­le nei confronti dei giovani che sanno usare le tecnologie meglio di noi, e loro crescono senza neppure essere consapevol­i che è maleducazi­one».

La conseguenz­a, certo, è che distrazion­e e mancata partecipaz­ione sono sempre in agguato. «I ricercator­i hanno fatto il conto in una settimana di scuola “persa”? Hanno stimato al ribasso — dice — il tempo buttato è sicurament­e molto di più».

Tornare indietro è difficile Fa parte della vita emotiva dei ragazzi

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