Il capo dello Stato e la memoria «Non dobbiamo temere la verità»
«Non dobbiamo avere paura della verità. Senza la verità, senza la ricerca storica, la memoria sarebbe destinata a impallidire. E le celebrazioni rischierebbero di diventare un vano esercizio retorico».
È l’approccio laico di chi coltiva il metodo del dubbio e dell’approfondimento continuo, quello con cui Sergio Mattarella ricorda il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia. Così, sul Monte di San Michele al Carso dove il «fantaccino» Ungaretti fissò in versi straordinari «il senso di totale precarietà che regnava al fronte», gli viene naturale andare oltre le narrazioni più pigramente conformiste sul conflitto di un secolo fa. Perciò, accanto agli infiniti atti di «eroismo» e ai gesti di «coraggio, valore, solidarietà» compiuti dai soldati — tutti, i nostri e gli altri — rammenta l’altissimo prezzo pagato allora dall’Europa. Cioè una sequenza infinita di «orrori, atrocità, devastazioni», con un bilancio di «10 milioni di militari caduti, ai quali va sommato un numero indefinito di civili e milioni di feriti e mutilati». Una «carneficina». «Una tragedia immane che poteva essere evitata». Una «inutile strage», come scrisse nel 1917 Papa Benedetto XV, in un appello ai «capi dei popoli belligeranti». E se il ventesimo secolo è stato davvero «il più violento nella storia dell’umanità», come sostiene William Golding, l’esordio del 19141918 non poteva essere più profetico.
Certo, quella prova segnò anche uno spartiacque decisivo per l’ancora «giovane» Stato italiano. Infatti, spiega il presidente, «la coscienza nazionale, fino ad allora appannaggio ristretto di élite intellettuali, si allargava e consolidava nelle trincee». Dove, come testimonia uno smisurato giacimento di lettere e diari, operai e contadini del Nord, del Centro e del Sud, quasi sempre casi semianalfabeti e neppure in possesso di una lingua comune, patirono e morirono insieme. Affratellati nel nome di una Patria nata da poco e che già evocavano in canti struggenti.
Mattarella queste cose le dice avendo al fianco gli ambasciatori di popoli e Nazioni (Austria, Ungheria, Slovenia e Croazia) i cui soldati combatterono sull’altro fronte di questa stessa montagna dove per la prima volta furono usati i gas, con 300 morti italiani. E — puntualizza, facendo piazza pulita di alcune recenti polemiche — è nel ricordo «delle loro sofferenze e del loro desiderio di pace», che bisogna cercare il «significato dell’esposizione del tricolore». Solo questo. Altro che le nostalgie revansciste di cui si è recriminato in Alto Adige. Insomma, conclude il capo dello Stato: «I caduti, di ogni Nazione e di ogni tempo, ci chiedono di agire, con le armi della politica e del negoziato, perché in ogni parte del mondo si affermi la pace… si tratta del modo più alto per onorare, autenticamente commossi, il tanto sangue versato su queste pendici martoriate».