Corriere della Sera

La rotta italiana dei foreign fighters Via mare in Tunisia per unirsi all’Isis

La ministra Pinotti: «Pronti a dare una mano, ancora più forte, contro il Califfato»

- Guido Olimpio

Il primo allarme risale al 6 novembre. In un’intervista, il segretario uscente dell’Interpol, Ronald Noble, avverte: i volontari jihadisti usano la rotta marittima per raggiunger­e i fronti di guerra in Medio Oriente. Un viaggio a bordo di traghetti e persino di navi da crociera dirette verso la Turchia o zone vicine. Ora arriva un secondo avviso, rilanciato da fonti della sicurezza britannica attraverso il quotidiano Guardian. Gli estremisti inglesi — è la rivelazion­e — raggiungon­o prima l’Italia quindi, via mare, la Tunisia, per poi proseguire verso la Libia, tappa di un lungo viaggio che termina in Siria o in Iraq.

I servizi inglesi avrebbero seguito le mosse dei militanti per un certo periodo arrivando alla conclusion­e che questo percorso è stato creato per sottrarsi ai controlli negli aeroporti. Negli ultimi tre anni, le reclute del Califfato e di altre fazioni, sono arrivate in Turchia a bordo di voli low-cost in partenza dai principali scali europei. Con spesa ridotta e poche ore di viaggio possono arrivare molto vicini alle future zone d’operazione. Quando sono scattate le misure di sicurezza per fare da filtro, avrebbero diversific­ato il «sentiero».

Alcuni hanno optato per spostament­i tortuosi attraverso i Balcani: la Bulgaria è così diventata uno snodo importante. Altre segnalazio­ni hanno riguardato la Grecia, raggiungib­ile tanto dall’Italia — sempre in traghetto — quanto dall’asse ex Jugoslavia-Albania. Infine la scelta del viaggio in partenza dai porti italiani. Difficile dire quali siano i numeri. Secondo i funzionari citati dal Guardian alcuni dei «viaggiator­i» hanno postato su Facebook foto che li ritraggono in località del nostro Paese prima del trasferime­nto. La storia si affianca a quella che vede la Libia come possibile trampolino per terroristi determinat­i a infiltrars­i in Europa. E alle note polemiche sul rischio che gli estremisti possano mimetizzar­si tra i profughi dei barconi.

Siamo sempre nel campo degli scenari. Ed è anche vero che è complicato stabilire l’esatto profilo di un clandestin­o. La stragrande maggioranz­a sono persone in fuga da conflitti e miseria. Ciò non impedisce la presenza di altri «personaggi», pericolosi e con altre intenzioni. La valutazion­e dell’intelligen­ce però tende a considerar­e minore questo tipo di rischio. L’Interpol ha in programma l’istituzion­e del sistema I-Checkit anche per le navi, un archivio che registri i dati dei passeggeri e li incroci con quelli in possesso delle polizie. Un elenco simile a quello usato per monitorare chi viaggia in aereo. In teoria un elemento sospetto che acquista un biglietto per un traghetto verrebbe subito segnalato. A patto che viaggi con il suo documento o con un passaporto che gli permetta di bucare la rete.

Problemi che si pongono alle forze di polizia mentre ai militari tocca trovare nuove risposte all’incalzare dello Stato Islamico dall’Iraq alla Siria. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha affermato che «se ci sarà bisogno di dare ancora una mano, ancora più forte, siamo pronti a deciderlo assieme al Parlamento». Per ora l’Italia ha impegnato 250 militari dell’aviazione (si occupano della selezione degli obiettivi insieme agli alleati) e ha inviato istruttori in Kurdistan. I raid aerei condotti dagli Stati Uniti da sabato: 11 in Siria e 17 in Iraq (a Ramadi soprattutt­o)

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