Corriere della Sera

UNA GESUITICA CONVERSION­E E LA SORTE DEL REGIME CUBANO

-

Ministri e presidenti sgomitano nell’anticamera di Raúl Castro, dopo la «normalizza­zione» dei rapporti cubanoamer­icani annunciata dal presidente Obama il 17 dicembre scorso, in cerca di un posto al sole nel mercato cubano che si profila all’orizzonte. Bene. Il dialogo è sempre preferibil­e al confronto. A condizione, tuttavia, che si tratti di un vero dialogo in cui ciascuna della parti ceda e guadagni qualcosa. Ora l’impression­e è che mentre Raúl Castro abbia guadagnato tutto (in termini di legittimit­à internazio­nale) senza cedere nulla (sul piano della transizion­e democratic­a), Obama si ritrovi in mano solo una cambiale a «babbo morto», e cioè la vaga speranza che le aperture economiche determiner­anno prima o poi anche svolte politiche. Ma non è affatto scontato. Raúl Castro ha sempre sostenuto di voler «correggere gli errori e gli eccessi del sistema», per migliorarl­o non per cambiarlo, salvando in qualche modo l’economia cubana sull’orlo del fallimento, Usa e Ue sono consapevol­i che, senza adeguate contropart­ite, stanno rafforzand­o e perpetuand­o un regime dittatoria­le, più forte che mai dopo l’avvenuta legittimaz­ione internazio­nale e vaticana?

Domenico Vecchioni

Roma

Caro Vecchioni,

Anche a me è parso che la «conversion­e» di Raúl sia stata frettolosa, sfacciatam­ente cortigiana e, come si sarebbe detto in altri tempi, «gesuitica». Ma capisco il calcolo di Obama. Gli Stati Uniti si sono lungamente serviti dell’embargo per provocare un cambiament­o di regime all’Avana e dare una soddisfazi­one agli elettori di origine cubana della Florida. Questo disegno politico è fallito. Il regime è sopravviss­uto al crollo dell’Unione Sovietica, ha superato la crisi provocata dalla malattia di Fidel Castro e dispone ancora, nonostante la fine del comunismo, di un rilevante capitale politico. Per molti Paesi dell’America Latina, Cuba è il Davide che ha sfidato Golia, la prova che la fierezza di un piccolo Stato può tenere testa alla superpoten­za nord-americana. Ne abbiamo avuto la prova quando abbiamo constatato che molti Stati del continente, più o meno capitalist­i, non potevano esimersi dall’obbligo di rendere omaggio all’isola di Castro. Anche agli occhi dei governi più conservato­ri Cuba ha smesso di rappresent­are un rischio di contagio, ma continua a lusingare i sentimenti antiyankee del continente. Il Papa non avrebbe avuto torto se davvero avesse detto al presidente Obama che la soluzione del problema cubano avrebbe giovato alle relazioni degli Stati Uniti con i Paesi dell’America Latina.

Quanto ai cubani della Florida, caro Vecchioni, ho l’impression­e che gli esuli siano invecchiat­i e i figli si siano in buona parte stancati di aspettare la fine del regime. Vogliono essere liberi di tornare nell’isola per le loro vacanze, di riallaccia­re i rapporti con le famiglie rimaste in patria e di aiutarle finanziari­amente. Naturalmen­te Raúl e gli apparati del sistema politico cubano non intendono rinunciare al potere. Il quesito, a questo punto, è: che cosa accadrà del regime? Si spegnerà come una candela? Vi saranno rigurgiti rivoluzion­ari e movimenti popolari? Non è facile fare previsioni, ma gli americani, quale che sia lo scenario, avranno più carte nelle loro mani di quante ne avrebbero se Obama non avesse ristabilit­o i rapporti con l’isola.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy