Corriere della Sera

Il ministro Poletti: pensioni flessibili più spazio ai giovani

Poletti: assunzioni a tempo indetermin­ato? Una su quattro

- di Enrico Marro

«Flessibili­tà in uscita». In tema di pensioni è questa la nuova ricetta del governo, che il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, in un’intervista al Corriere, sostiene con forza spiegando che la soluzione è valida «non solo per rimuovere alcuni elementi di rigidità del sistema previdenzi­ale, ma anche per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, in questi ultimi anni oggettivam­ente limitato anche dall’allungamen­to dell’età pensionabi­le».

ROMA «In quattro mesi c’è stato un significat­ivo incremento dei contratti a tempo indetermin­ato mentre si sono ridotte le tipologie di lavoro precario. Un fatto positivo perché la precarietà crea svantaggi non solo alle persone, ma a tutto il sistema economico». Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, analizza i dati sulle attivazion­i dei contratti di lavoro di aprile, diffusi ieri dal suo dicastero, e vi vede i segni di una «continuità» di risultati positivi che il Jobs act sta determinan­do grazie alla diffusione dei nuovi «contratti a tutele crescenti»: contratti a tempo indetermin­ato, dove però è più facile licenziare perché non c’è più l’articolo 18.

Prima del Jobs act, i rapporti di lavoro a tempo indetermin­ato rappresent­avano il 15% circa di tutte le attivazion­i ( 15,7% ad aprile 2014). Adesso siamo arrivati al 22,7%. Fin dove si può salire?

«Premesso che i nuovi contratti a tempo indetermin­ato garantisco­no tutte le tutele che i contratti precari non prevedono, sette punti sono già un grande passo in avanti. Credo che arrivare entro l’anno al 25% dei contratti a tempo indetermin­ato sarebbe un ottimo risultato. Significhe­rebbe un contratto stabile ogni quattro attivati. Prima era uno su sei».

Per ora la stabilizza­zione non si è tradotta in un aumento degli occupati. Quanto bisogna aspettare?

«Dipende dal ritmo della crescita dell’economia. Per ora le aziende stanno richiamand­o al lavoro le persone che erano in cassa integrazio­ne o in contratto di solidariet­à. Lo confermano i dati Inps del primo quadrimest­re. Il bacino si sta riducendo. Non dimentichi­amo che nel 2013 abbiamo perso 200 mila posti di lavoro. Nel 2014 la situazione si è stabilizza­ta. Quest’anno, anche sulla base delle previsioni dei maggiori istituti, credo che si possa puntare a un aumento dell’occupazion­e di 100-150mila posti».

La legge delega sul Jobs act è stata attuata a metà, nella parte che introduce più «flessibili­tà in uscita» (licenziame­nti). Manca l’altra gamba della flexicurit­y: gli ammortizza­tori sociali e le politiche di ricollocam­ento.

«Intanto, sono già attivi i nuovi ammortizza­tori per chi perde il lavoro, che durano più a lungo e coprono più persone. Dopo i 4 decreti legislativ­i già approvati, il governo varerà entro i primi di giugno altri 4 decreti, completand­o così l’attuazione del Jobs act. Uno riguarderà l’Agenzia unica sulle ispezioni, perché non è possibile che un’azienda subisca, magari in momenti diversi, i controlli degli ispettori del ministero, di quelli dell’Inps e di quelli dell’Inail. Un altro decreto avrà come obiettivo l’universali­zzazione degli ammortizza­tori sociali. A regime vorremmo estendere i sostegni ai lavoratori delle imprese con almeno 5 dipendenti».

Ma come farete, se la delega non prevede aumenti della spesa pubblica?

«Puntiamo da un lato su un meccanismo per cui le aziende che più utilizzano gli ammortizza­tori più contribuis­cono, una sorta di bonus malus. E dall’altro sul fatto che le aziende che finora non hanno pagato contributi per gli ammortizza­tori, ma in questi anni ne hanno usufruito attraverso quelli in deroga finanziati dalla fiscalità generale, comincino a contribuir­e». Gli altri due decreti? «Riguardera­nno le semplifica­zioni normative e le politiche attive con al centro la “condiziona­lità”: se uno prende un sussidio non deve restare a casa ma deve essere impegnato nel ricollocam­ento al lavoro. Detto questo, siamo in una transizion­e, con la riforma costituzio­nale che prevede di riportare al centro competenze ora assegnate a Regioni e Province. È quindi necessario un accordo tra le parti, soprattutt­o per salvaguard­are e rafforzare i centri per l’impiego».

Passiamo alle pensioni. Lei ha proposto più volte la flessibili­tà in uscita, cioè la possibilit­à di lasciare il lavoro prima di quanto previsto dalla riforma Fornero in cambio di una pensione più leggera. Adesso è stato il premier Matteo Renzi a rilanciare il tema. Che cosa state preparando?

«La flessibili­tà in uscita è importante non solo per rimuovere alcuni elementi di rigidità del sistema previdenzi­ale, ma anche per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, in questi ultimi anni oggettivam­ente limitato anche dall’allungamen­to dell’età pensionabi­le. Sono le stesse aziende che ci richiedono questa sorta di staffetta generazion­ale.

Nel 2015 100-150 mila posti di lavoro in più. Intanto cala la cassa integrazio­ne La priorità è la lotta alla povertà. Servono 1,8 miliardi? Mi impegno a trovarli Ammortizza­tori per le piccole aziende. Che però dovranno contribuir­e

Quanto alle proposte ne parleremo a settembre con la legge di Stabilità, in base alle risorse disponibil­i».

Ce ne saranno, dopo la sentenza della Consulta sulle pensioni e il no dell’Ue sul reverse charge dell’Iva? Il governo, tra l’altro, vuole intervenir­e anche sulla povertà.

«Sì, la lotta alla povertà è una priorità, perché con la crisi le diseguagli­anze sono aumentate. Metteremo a disposizio­ne tutte le risorse del ministero più i fondi dei piani europei per l’inclusione, ma so già che non basteranno. Su questo dovremo concentrar­e gli sforzi nella legge di Stabilità».

Giorni fa ha ricevuto l’Alleanza contro la povertà, che ha messo a punto una proposta di reddito di inclusione che inizialmen­te costerebbe 1,8 miliardi. È fattibile?

«È una proposta che assomiglia molto al Sia, il sostegno per l’inclusione attiva che stiamo sperimenta­ndo. Si muove infatti sull’idea, che condivido, della presa in carico: non un trasferime­nto monetario fine a se stesso, ma uno strumento per aiutare a uscire dalla povertà, puntando sul lavoro. Mi impegnerò al massimo per trovare le risorse necessarie».

Renzi ha lanciato anche il tema del sindacato unico. Lei che dice?

«La semplifica­zione della rappresent­anza è un tema reale, che investe sia i sindacati che le associazio­ni datoriali. Se in Italia abbiamo molte associazio­ni per ogni categoria è soprattutt­o per ragioni di ordine culturale e politico, come dimostrano i tre filoni di derivazion­e: cattolico, socialista e laico. Oggi è legittimo chiedersi se le ragioni di queste divisioni siano tuttora valide».

Farete una legge sulla rappresent­anza sindacale?

«Credo che ogni organizzaz­ione dovrebbe autoriform­arsi, senza bisogno di interventi esterni della legge. Che invece può essere di supporto o disciplina­re alcuni aspetti, per esempio la trasparenz­a e la redazione dei bilanci ».

Ci sarà una legge per limitare ancora lo sciopero nei servizi pubblici essenziali?

«È una materia delicata. Il diritto di sciopero va salvaguard­ato, ma va gestito limitando i disagi per i cittadini. Una nuova legge? Intanto si usi bene quella che abbiamo, in modo responsabi­le».

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Il ministro Il ministro del Welfare Giuliano Poletti: l’obiettivo è che il 25% dei nuovi assunti abbia un contratto stabile

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