Corriere della Sera

I TROPPI EQUIVOCI SU ATENE

- Di Lucrezia Reichlin

L’altro ieri il ministro dell’Interno greco Voutsis annunciava che il suo governo non avrebbe pagato i soldi dovuti al Fondo monetario Internazio­nale (Fmi) in giugno. Ieri sera la smentita: «Atene farà ogni sforzo per onorare i suoi debiti». Questo è solo l’ultimo episodio nel confuso susseguirs­i di annunci e precisazio­ni che accompagna­no le trattative in corso tra il governo greco e i partner europei.

Se non fosse una tragedia, questo continuo flusso di notizie difficilme­nte interpreta­bili potrebbe bene essere descritto dalla commedia di Shakespear­e Much ado about nothing («Molto rumore per nulla»): pettegolez­zi, annunci, voci e chiacchier­e che portano i protagonis­ti a false mosse e a una sequenza di errori. La commedia shakespear­iana ha un lieto fine, sarebbe potuta andare altrimenti. Come nel caso della Grecia, si rimane fino all’ultimo in bilico tra il lieto fine e l’esito tragico. Il testo si insegna nelle scuole come una riflession­e sull’onore, la vergogna e la politica. Riflession­e più che mai urgente per tutte le parti in causa anche per il caso greco.

Dopo quattro mesi di incertezza ed errori da ogni parte, i negoziati tra Atene e la troika (comunque la si voglia chiamare adesso) sembrano ora focalizzar­si esclusivam­ente su aspetti di bilancio, volti a un accordo dell’ultimo minuto che eviti il peggio ma che non garantisce alcuna sostenibil­ità di lungo periodo.

Non c’è tempo, né volontà politica per cercare di costruire un percorso con un orizzonte non immediato, basato sulla coerenza tra un programma riformator­e e la sostenibil­ità di bilancio. Si stanno ripetendo gli errori del passato. È probabile (ma assolutame­nte non certo) che, nonostante la confusione di messaggi, la Grecia pagherà il Fmi alla prossima scadenza — si tratta di pochi soldi — e che ci si ritrovi alla fine di giugno senza un incidente maggiore. A quel punto è probabile che si arrivi a un accordo per ottenere l’esborso della ultima tranche prevista dal secondo programma di aiuti o, ancora più probabile, che per arrivarci si prenderà ancora un po’ di tempo e si andrà a nuove elezioni. Ancora tempo perso per la ripresa, ancora incertezza e possibilit­à di incidenti di percorso.

Ma anche se lo scenario più roseo si materializ­zasse — cioè un accordo pieno sul secondo programma — questa non sarà certo la fine della saga greca. La Grecia avrà bisogno di un terzo programma di aiuti.

Questo dovrebbe idealmente essere basato su buoni principi, che evitino il disastro dei primi due. E paradossal­mente sembra che ormai in Europa ci sia un consenso su quali siano questi principi. Per esempio, bisogna evitare che le riforme — necessarie — siano pro-cicliche, cioè limitino la capacità di spesa dei cittadini quando l’economia è in recessione. Anche l’Ocse sostiene sia meglio cominciare prima dalle riforme meno socialment­e divisive: dal mercato dei prodotti alla riforma dello Stato, al sistema giudiziari­o ma comunque non dal lavoro. Inoltre, ormai sono molti a dire che non si può imporre un surplus primario irrealisti­co che finisca, come è avvenuto nel passato, per strozzare l’economia.

Ma se su questi principi di base c’è un largo consenso, quale è la difficolta a formulare un nuovo programma o meglio a costruire il ponte tra un accordo sulla chiusura del secondo e la formulazio­ne del terzo? I problemi sono due. Primo, non è chiaro se il governo greco e l’Europa abbiano lo spazio politico e quindi la volontà di farlo. Secondo, anche se lo avessero, non è chiaro se la Grecia sia capace, pur condividen­dolo, di metterlo in pratica. Ma la condivisio­ne sul contenuto del programma e la capacità di attuarlo sono due condizioni essenziali per la sua credibilit­à e il suo successo.

Se nessuna delle parti in causa, come sembra, sarà capace di partire da questa osservazio­ne essenziale e quindi di prendere la leadership del negoziato, si aprono due scenari alternativ­i. Il primo è che si continui come nel passato: negoziati infiniti su aspetti esclusivam­ente di bilancio e un susseguirs­i di accordi dell’ultimo secondo per continuare a sopravvive­re e non creare un incidente costoso per l’Unione. La Grecia, secondo questo scenario, vivrebbe ai margini dell’Unione, un po’ sussidiata e un po’ depauperiz­zata.

Il secondo è che la Grecia vada in default, fallisca ed esca dall’euro. Con quest’ultima opzione non è realistico pensare che ciò che l’Europa le ha prestato sia restituito nella sua interezza. Sperare in una restituzio­ne del 50% è fin troppo ottimista. Ma se è cosi l’Italia, terzo Paese creditore di Atene, tornerebbe a essere a rischio e per l’Unione si riaprirebb­e il problema di come far fronte alla sostenibil­ità del debito sovrano senza un intervento massiccio della Banca entrale europea. Facendo vacillare quel fragile consenso così faticosame­nte costruito.

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