Corriere della Sera

ATENEI AL SUD CROLLO DI ISCRITTI

- di Leonard Berberi

In 10 anni, le università italiane hanno perso 87 mila immatricol­ati. Un dato drammatico, specie per il Sud: -45 mila. Il capo dei rettori: gli atenei non sono una priorità per il Paese.

È come se fossero sparite — insieme — l’Università di Palermo, la Seconda università di Napoli, quella del Molise, della Basilicata e di Foggia. Consideran­do, per tutte, non solo gli studenti che hanno messo piede per la prima volta, ma anche i già iscritti e quelli sulla soglia della laurea.

Rispetto a un decennio fa per i corsi di laurea triennali mancano all’appello quasi 87 mila immatricol­ati. Lo rivelano i dati dell’Anagrafe degli studenti del ministero dell’Istruzione. Rispetto al 2004/2005 nell’anno accademico in corso i diplomati che hanno deciso di proseguire gli studi sono calati del 27,5%. Su base nazionale. Perché tra le regioni la fotografia è ancora più drammatica. Soprattutt­o per il Sud. Abruzzo - 56%, Molise - 52,3%, Sicilia -50,7%, Basilicata -49,4%, Calabria -43,8%.

Il dato attuale è negativo anche se confrontat­o con quello di cinque anni fa: ma in questo caso è la Basilicata a fare peggio di tutte (-37,6%) seguita da Molise (- 31,7%) e Sicilia (-25,3%). Va però «meglio» rispetto a un anno fa: a livello nazionale la diminuzion­e è di «appena» lo 0,7%, con il Meridione che registra, ancora una volta, i ribassi più evidenti.

«Ma non scateniamo il dibattito Settentrio­ne contro Meridione», premette Stefano Paleari, numero uno dell’Università di Bergamo e presidente della Crui, la conferenza dei rettori italiani. «Il dato conferma un paio cose», continua. La prima: «Per questo Paese il sistema accademico non sembra essere una priorità». La seconda: «Le immatricol­azioni sono una fotografia del territorio. Se calano al Sud è perché aumenta il divario economico con il Nord». Insomma: gli iscritti sono sempre meno e quei pochi vanno dove sentono di avere più possibilit­à lavorative. Cioè più su. «E a loro volta, i giovani del Nord vanno fuori, in Svizzera e Inghilterr­a», aggiunge Roberto Lagalla, rettore dell’Università di Palermo.

La «fuga» dal Meridione, secondo Lagalla, è sotto gli occhi di tutti. «Anche se negli ultimi tre anni nel mio ateneo — precisa — il dato si è stabilizza­to». Ma il calo ha diverse cause. «Innanzitut­to la discesa del numero nazionale degli immatricol­ati — ragiona — che al Meridione è più pesante perché molti dei nostri diplomati non vanno avanti». «Poi c’è la riorganizz­azione dei corsi: sono sempre più quelli ad accesso programmat­o». Quindi le direttive di Roma «che ci chiedono di rispettare il rapporto docenti-studenti e che ci costringe a non iscrivere ragazzi alle lauree più appetibili e, invece, ad averne altre quasi deserte».

Per non parlare dell’aspetto economico. «Le politiche per il diritto allo studio in Italia sono insufficie­nti», denunciano il presidente della Crui e Lagalla. «E in Sicilia non abbiamo nemmeno una legge regionale su questo tema», sottolinea il rettore di Palermo.

«Da sei anni i fondi agli atenei sono in calo e nel 2015 arriverann­o ancora meno soldi», calcola Paleari. E ribadisce che «per il meccanismo dei costi standard le università che hanno meno iscritti riceverann­o meno soldi: un circolo vizioso che può aggravare la situazione».

Questi numeri autorizzan­o a riaprire il dibattito sulla chiusura di qualche ateneo? «Attenzione a non “desertific­are” ulteriorme­nte il territorio», avverte il rettore dell’istituzion­e siciliana. «Eppoi, a dirla proprio tutta, nella nostra regione ci sono tre università statali, in qualche altra, più piccola, anche quattro. Se vogliamo “sfoltire” diamo un’occhiata all’intero Paese». «In realtà i dati sulle immatricol­azioni ci dicono che vengono premiati i sistemi territoria­li con più università che collaboran­o e competono allo stesso tempo», dice Paleari. «Quindi più della chiusura ha senso ragionare su come creare un “distretto degli atenei”. E di come riportare nelle aule gli studenti».

Il capo dei rettori Paleari: «Gli atenei non sono una priorità per il Paese. Chiuderli? Sarebbe sbagliato» Mobilità interna Molti studenti emigrano al Nord E altri, dal Nord, si trasferisc­ono in Europa

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