Corriere della Sera

L’ipotesi di una valuta «parallela» e lo spettro di nuove elezioni

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del partito di Syriza è fuori discussion­e: ancora di più dopo la vittoria di Podemos (anch’esso di sinistra radicale) nelle elezioni locali di domenica in Spagna. Se si creasse l’impression­e che Syriza ha avuto la meglio nella trattativa con il resto dell’eurozona, le chance di Podemos di conquistar­e il governo alle elezioni generali il prossimo dicembre si moltiplich­erebbero: con Madrid che avanza richieste simili a quelle di Atene — l’abbandono della politica seguita dallo scoppio della crisi greca cinque anni fa — l’esistenza della moneta unica sarebbe a rischio. Se Tsipras non accetterà alcune proposte dei creditori, dunque, all’Europa non resterà che prepararsi al non pagamento di una rata di debito da parte di Atene.

La preparazio­ne è in atto, ma l’agibilità è scarsa. Se il non pagamento riguarderà, come è probabile, una obbligazio­ne con il Fmi (sarebbe una prima volta per un Paese sviluppato), la dichiarazi­one ufficiale di default non dovrebbe essere immediata: il Fondo prevede un «periodo di grazia» nel quale il debitore può correre ai ripari. La crisi, però, esplodereb­be subito, i greci correrebbe­ro agli sportelli bancari nel timore della Grexit, che i loro euro si trasformin­o in dracme o Geuro svalutati. Metterebbe­ro in crisi il sistema bancario. Molti cercherebb­ero di portare capitali fuori dalla Grecia. Sarebbe necessario dichiarare chiuse le banche per un certo periodo e imporre controlli ai movimenti di capitale. Questo però lo può fare solo Atene: non la Ue, non la Bce. A quel punto, anzi, per la banca guidata da Mario Draghi risultereb­be anche difficile continuare a fornire la liquidità d’emergenza che al momento è l’unica fonte di denaro per lo Stato greco.

Se queste misure d’emergenza non fossero prese, il collasso del sistema bancario greco porterebbe a una rapida uscita del Paese dall’Unione monetaria. Qualcosa che nessuno vuole davvero: per questo, al momento le pressioni su Tsipras pare siano molto forti.

Anche se la bank holiday e le restrizion­i ai movimenti di capitale fossero imposte, però, occorrereb­be trovare una soluzione ponte (verso qualcosa che non si conosce). La Bce sarebbe chiamata ancora una volta in prima linea ma gli esperti dicono che i suoi spazi di finanziame­nto sarebbero limitati, di fronte a un probabile default. Ad Atene non resterebbe che emettere una specie di valuta parallela all’euro, a uso solo domestico: sorta di cambiali per pagare salari, pensioni e riempire i bancomat. Misura drammatica e transitori­a per arrivare a qualcosa di definitivo, della quale nei giorni scorsi ha parlato (non necessaria­mente per avallarla) il ministro

Bce

C’è la Banca centrale europea guidata da Mario Draghi tra i principali creditori della Grecia, il cui debito pubblico, in generale, supera i 300 miliardi di euro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble in una riunione riservata.

In pieno caos politico e sociale, Tsipras sarebbe costretto a ridare la parola ai greci, attraverso elezioni o un referendum: a chiedere se accettano i programmi dei creditori, e quindi restano nell’euro, oppure se li rifiutano e se ne vanno. Nelle capitali europee la convinzion­e è che i cittadini deciderebb­ero di rimanere e che, a quel punto, ad Atene non potrebbe che formarsi un nuovo governo, probabilme­nte «tecnico», senza Syriza o senza la sua parte anti-euro. Si riaprirebb­e il negoziato con i creditori e, di fronte a un possibile accordo su un programma, la Bce tornerebbe a sostenere le banche e quindi il Paese. Scenario drammatico. Ma, se Tsipras non compie una svolta a U, forse il meno drammatico.

danilotain­o

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