Corriere della Sera

I ministri a Ercolano Quanto pesa la sfida per il nuovo corso pd

- Massimo Rebotti M.Gu.

Tre ministri in pochi giorni. A Ercolano si vota domenica e a Palazzo Chigi, evidenteme­nte, tengono molto al risultato. Per Matteo Renzi il comune campano — 53 mila abitanti e un sito archeologi­co visitato ogni anno da circa trecentomi­la turisti — è diventato un simbolo. Qualche giorno fa, per sostenere il candidato sindaco del Pd Ciro Buonajuto, è passato il ministro delle Infrastrut­ture Graziano Delrio, ieri c’era il ministro della Cultura Dario Franceschi­ni («Ercolano — ha detto — sarà una delle capitali del futuro investimen­to turisticoc­ulturale del Paese»), tra qualche giorno è attesa Maria Elena Boschi, titolare delle Riforme. Buonajuto è un avvocato di 37 anni, membro della direzione nazionale dei democratic­i e «renzianiss­imo». A Roma decisero di puntare su di lui dopo che due candidati alle primarie, il sindaco Vincenzo Strazzullo e il suo vice, finirono indagati per corruzione. Renzi decise di annullare le primarie e di imporre Buonajuto; il circolo pd locale si ribellò, schierando­si con l’allora segretario Antonio Liberti (per qualche giorno fu perfino occupata la sede). Alla fine, i vertici del partito hanno tenuto duro, il circolo è stato commissari­ato, Liberti è fuori dal partito (corre per conto suo) e Buonajuto è rimasto il candidato del Pd. Nelle pieghe di una frase di Matteo Renzi di qualche giorno fa c’è il motivo per cui Ercolano è diventata così importante: «In Campania ci sono alcuni candidati che mi imbarazzan­o — disse — ma le liste del Pd sono pulite. A Ercolano e Giugliano abbiamo cambiato candidato, siamo intervenut­i in modo molto forte». Insomma, nella visione del premier, il comune campano è il luogo in cui la mano del nuovo corso si è vista di più ed è per questo che la sfida vale il passaggio di tre ministri in pochi giorni (una cosa, per dire, che Emiliano in Puglia se la sogna). Se poi Ciro Buanajuto dovesse essere eletto sindaco, Ercolano sarà probabilme­nte celebrata come un fiore all’occhiello del rinnovamen­to. In altri luoghi e con altri candidati, a cominciare dalla Regione Campania con Vincenzo De Luca, il premier non potrebbe dire lo stesso. i componenti della commission­e parlamenta­re Antimafia: 25 deputati e 25 senatori. La sede è a Roma, a Palazzo San Macuto. La democratic­a Rosy Bindi è la presidente e due con Schittulli. Nomi e numeri ancora in movimento, spiegano a Palazzo San Macuto. Dove la Bindi non si stanca di ripetere che «tutte le indiscrezi­oni sono prive di fondamento».

Il lavoro della commission­e si è concentrat­o sui cosiddetti «reati spia» che possono essere segnali di appartenen­za mafiosa e ha dovuto lasciare fuori, ad esempio, crimini odiosi come la violenza sessuale. Per Franco Mirabelli, Pd, la politica dovrebbe fare di più: «Il nostro Paese deve darsi altri strumenti per valutare in tempo utile le liste, altrimenti anche il lavoro dell’Antimafia rischia di diventare un esercizio accademico».

Fava, indipenden­te di sinistra nel gruppo Misto, spinge perché i partiti si impegnino a darsi un criterio: «Bisogna fissare una soglia morale minima. Nessun codice impedisce di candidare parenti di famiglie colluse con la mafia, ma non farlo è questione di decenza. Alcune liste civiche sono diventate il purgatorio delle anime nere...». Per Marco Di Lello (Psi) i partiti devono rendere «obbligator­ia e preventiva» la selezione dei candidati: «Se non hanno la forza di fare da soli bisogna costringer­li per legge. Solo una sorta di bollinatur­a delle prefetture toglierà gli alibi a chiunque».

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