Mattarella: no ai nazionalismi e alle sirene dello scetticismo
Viaggio a Belgrado per sostenere l’ingresso della Serbia nell’Unione Mentre il continente guarda altrove «qui l’integrazione è la priorità»
Meglio eurocoraggiosi che euroscettici. E avanti con le nazioni che chiedono il loro posto nella storia, piuttosto che tornare a nazionalismi fuori tempo. Nell’Europa che scricchiola e in un Parlamento di Belgrado che all’Europa crede fino a un certo punto, nell’aula dove una volta Milosevic arringava le nostalgie etniche e nell’Ue dove i populisti promettono uscite di sicurezza, Sergio Mattarella parla sì della Serbia e del suo «percorso arduo e complesso» per l’adesione ai Ventotto, intrapreso «con determinazione e coraggio», ma in realtà rilancia oltre i Balcani: «In un momento in cui sarebbe stato facile ascoltare le sirene dell’euroscetticismo e di anacronistici nazionalismi — dice ai deputati —, la Serbia ha saputo assegnare priorità assoluta al percorso europeo». Non c’è riferimento diretto a Spagna, Polonia o Grecia, com’è ovvio. E la consapevolezza è che «le difficoltà del processo d’integrazione europea sono reali e complesse». Ma è innegabile che la prima visita in un Paese candidato a entrare nell’Ue, quando c’è chi ne uscirebbe volentieri, abbia un significato: gli ostacoli all’integrazione non sono insormontabili e, comunque, «non possono e non devono giustificare arretramenti o inversioni di rotta».
C’era un volta la Serbia relegata nell’ultimo banco. Che i turboserbi avevano cacciato nel vicolo cieco delle guerre. Che un lungo pregiudizio tiene ancora alle porte dell’Europa. Il nazionalismo a Belgrado è sempre forte, beninteso, ed è pure al governo: anche a Mattarella viene ricordato l’eterno nodo del Kosovo «albanesizzato», che l’Ue riconosce indipendente mentre i nostri soldati vi rimangono a proteggere i monasteri ortodossi (domanda dei leader serbi: perché l’intangibilità dei confini vale per l’Ucraina e non per noi?). Ma nuovi scenari impongono nuove strategie: nell’opinione pubblica balcanica, avverte il presidente Tomislav Nikolic, l’Ue «ha smesso d’essere la più bella ragazza da sposare» e nuove pretendenti (la Russia, gli arabi, la Cina) s’affacciano. Vuoi per la crisi, vuoi per le procedure d’ingresso troppo lunghe, gli euroscettici in Serbia sono passati dal 20 al 30 per cento e il premier Aleksandar Vucic, una settimana fa, ha
Nikolic Il leader serbo ammette un po’ di delusione: «L’Ue non è più la più bella ragazza da sposare»
detto ai tedeschi che Belgrado è stanca d’affrontare esami infiniti: varate le riforme, chiusi i conti con qualche criminale di guerra, aperto il dialogo con gli albanesi, quando l’Europa dirà finalmente sì? Stessi concetti vengono espressi a Mattarella, capo d’uno Stato che è terzo partner commerciale e ha un ex ministro degli Esteri, Franco Frattini, tra i consulenti nominati da Belgrado per l’adesione all’Ue. Le nuove violenze della Macedonia, le braci sotto la cenere della Bosnia, la necessità d’un ponte con la Russia dimostrano che la regione è tutt’altro che stabilizzata. Il presidente finisce la giornata con due passi lungo la Sava. Sapendo bene che portare i Balcani a Bruxelles, «evitando uno stallo prolungato che provochi disaffezione», non sarà una passeggiata.