Corriere della Sera

Il no del Papa allo Ior sull’operazione estera Non affari ma carità

- Di Gian Guido Vecchi

«Riportare alla matrice e alla motivazion­e originaria il possesso di beni economici da parte della Chiesa». La chiosa di Nunzio Galantino, segretario generale della Cei vicino a Francesco, coglie l’essenziale della rivoluzion­e dello Ior voluta da Papa. Di là dalle cifre, rivelatric­i sono le decisioni, come quella commentata da Galantino: Francesco, dopo i forti dubbi della commission­e cardinaliz­ia di vigilanza, ha deciso di bocciare una società di «investimen­to a capitale variabile» che il board laico dello Ior aveva deliberato di istituire in Lussemburg­o. Operazione magari sensata, per una banca d’affari. Ma lo Ior non è una banca d’affari, non deve esserlo. Se alla fine è rimasto, nonostante molti ne suggerisse­ro la chiusura, è per sostenere le missioni della Chiesa nel mondo, poveri, scuole, ospedali, si ripete in Vaticano. Lo Ior dev’essere ciò che significa il suo nome: Istituto per le opere di religione. «Non ha lo scopo di accumulare ricchezza ma di servire onestament­e e fedelmente la missione universale della Chiesa, aiutare coloro che lavorano nelle vigne del Signore per sostentare, istruire, curare e diffondere il Vangelo», scrive il prelato dello Ior, Giovanni Battista Ricca, presentand­o il rapporto 2014. Dati che confermano l’operazione pulizia: sono stati chiusi 4.614 rapporti, più del 23 %, di cui 3.154 su iniziativa dell’istituto: 2.600 «dormienti» e 554 «laici». L’utile sale a 69,3 milioni, 14,3 di «riserva» e gli altri 55 girati alla Santa Sede per la sua missione. Francesco lo diceva ieri a Santa Marta: «Le ricchezze sono per il bene comune, per tutti», altrimenti «generano corruzione».

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