Amazon, prima tregua sulle tasse Apre succursali in Italia e altri Paesi Ue
Nuovo modello di business. La direttiva sull’Iva negli acquisti e-commerce
Definirla una svolta sulle tasse forse è troppo ma sicuramente è un cambio di passo: Amazon, il colosso dell’ecommerce, ha aperto dal primo maggio succursali in Italia, Gran Bretagna, Germania e Spagna. E prossimamente anche in Francia. Adesso chi fa un acquisto riceve la fattura con indicato l’indirizzo della società a Milano e il numero di partita Iva.
Finora tutte le vendite venivano gestite dalla casa madre con base in Lussemburgo e fiscalità lussemburghese, cioè assai agevolata. Adesso Amazon ha in Italia, così come negli altri Paesi elencati, quella che in gergo fiscale si chiama una «stabile organizzazione», che ha una rilevanza sul pagamento delle imposte dirette perché vengono corrisposte al Paese in cui si trova la succursale. La polemica dura da anni a livello internazionale e l’Ocse è al lavoro per trovare una soluzione. Di recente anche il governo italiano ha dichiarato guerra ai colossi dell’economia digitale — come appunto Amazon, Google, Facebook, Apple — per costringerli a pagare le tasse sul business effettivamente realizzato in Italia, imposte finora eluse. Il fatturato «italiano» di questi gruppi che operano via web è di circa 11 miliardi, ma pagano al Fisco meno di 10 milioni l’anno, ovvero meno dell’uno per mille. «Il fatto che ora Amazon abbia una succursale italiana non significa però che automaticamente nelle casse del Fisco entreranno milioni, perché la base imponibile è rappresentata dall’utile netto e non dal fatturato», spiega Maricla Pennesi, esperta di fiscalità internazionale.
Tuttavia la decisione di Amazon di aprire una sede secondaria in Paesi Ue diversi da quelli della casa madre può essere letta come un tentativo di limitare le occasioni di conflitto con il Fisco e di instaurare un rapporto nuovo. Anche se il gruppo di ecommerce spiega che da oltre due anni stava lavorando alla riorganizzazione delle vendite retail. La decisione, come osservava ieri il Wall Street Journal, metterà una certa pressione anche sugli altri colossi come Apple, Google o Starbucks già finiti nel mirino, come del resto Amazon, dell’Antitrust Ue per il regime fiscale agevolato di cui godono in alcuni Paesi, in particolare Lussemburgo, Irlanda e Olanda.
«Di fatto Amazon ha cambiato il suo modello di business — sottolinea Pennesi —. È vero che dal primo gennaio l’Iva applicata sulle operazioni di commercio elettronico diretto non è più quella del Paese del fornitore ma quello del cliente, per effetto di una direttiva europea recepita da noi in marzo, ma questo non obbligava Amazon ad aprire una succursale, avrebbe potuto gestire le dichiarazioni trimestrali continuando a operare dal Lussemburgo».