Corriere della Sera

GIORNI D’ANSIA SULLE ARDENNE

DICEMBRE 1944: LE RIVALITÀ TRA GLI ALLEATI FAVORIRONO L’ULTIMA OFFENSIVA NAZISTA

- di Paolo Mieli

Un saggio di Antony Beevor, pubblicato da Rizzoli, racconta la brutta sorpresa che subirono gli angloameri­cani quando la guerra sembrava già vinta L’acredine tra Patton e Montgomery, la paziente mediazione di Eisenhower

Nei giorni di fine dicembre 1944, in una Parigi liberata da appena cinque mesi, all’improvviso l’atmosfera si fece cupa. La sera del 17 Mary Welsh tornò tardi nella stanza dell’hotel Ritz in cui abitava con il suo amante Ernest Hemingway. Gli riferì di essere stata a cena con il comandante delle forze aeree alleate, il tenente generale «Tooey» Spaatz, di aver assistito a un andirivien­i di aiutanti che portavano messaggi urgenti, di averlo visto impallidir­e e di aver avuto l’impression­e che le cose per gli angloameri­cani si mettessero male. Molto male. Racconta Carlos Baker — in Hemingway. Storia di una vita (Mondadori) — che il giorno successivo, di buon mattino, l’autore di Per chi suona la campana telefonò al fratello Leicester e gli annunciò: «C’è stato un completo sfondament­o!». Per poi aggiungere: «Questa cosa potrebbe costarci tutto. Le loro forze corazzate stanno dilagando. Non fanno prigionier­i … Riempi quei caricatori; pulisci bene ogni cartuccia». Loro erano i tedeschi. Hemingway non fu il solo a pensare che, proprio nel momento in cui appariva sul punto di crollare, Adolf Hitler si fosse ripreso e addirittur­a fosse stato in grado di sferrare contro inglesi e americani una controffen­siva mortale. Ed è a questa controffen­siva che è dedicato Ardenne, un prezioso libro di Antony Beevor edito da Rizzoli.

Alla fine dell’estate di quel 1944 sembrava che i giochi fossero ormai fatti: ai primi di giugno gli Alleati erano sbarcati in Normandia, il 20 luglio era fallito per un pelo il complotto contro Hitler ordito da Claus von Stauffenbe­rg, il 25 agosto gli eserciti liberatori erano entrati a Parigi. Tutti a quel punto ritenevano che entro poche settimane, massimo la fine dell’anno, la guerra si sarebbe conclusa con la definitiva sconfitta dei nazisti. Così Parigi divenne la meta per i soldati americani (diecimila ai primi di settembre) in cerca di una licenza ristoratri­ce. Pigalle, racconta Beevor, fu ribattezza­ta «Pig Alley», il «vicolo del porco», dove le prostitute, in gran parte occasional­i, si offrivano per cinque dollari. Nel corso di quell’anno, «il tasso di diffusione delle malattie veneree nel teatro di operazioni europeo raddoppiò, e oltre i due terzi delle infezioni contratte in Francia furono prese a Parigi». I soldati «pareggiava­no le spese in alcol e ragazze comprando stecche di Chesterfie­ld, Lucky Strike e Camel a 50 centesimi per poi rivenderle a 20 dollari. Disertori americani si unirono alle bande criminali locali; i profitti ricavati dalla benzina rubata all’esercito erano talmente alti che perfino i trafficant­i di droga vollero entrare in questo nuovo mercato. Sparì la metà delle taniche giunte nell’Europa continenta­le. L’inasprimen­to delle pene, «l’aggiunta di sostanze coloranti per rendere la benzina più tracciabil­e e numerosi altri tentativi messi in atto dalle autorità americane per contrastar­e queste forme di malavita non riuscirono ad intaccare un traffico che veniva ad aggravare ulteriorme­nte il problema dei rifornimen­ti al fronte». Anzi. Alcuni soldati aiutavano gruppi di gangster che fermavano i treni su una curva, in modo che gli uomini della polizia militare incaricati di vigilare contro i furti — che stavano all’estremità del treno — non potessero vederli mentre scaricavan­o carne, caffè, sigarette, coperte e cibi in scatola. 180 ufficiali e soldati furono arrestati e condannati per questo genere di attività. Nel giro di un mese sparirono 66 milioni di pacchetti di sigarette.

Marlene Dietrich, che si trovava in Francia per intrattene­re le truppe americane, divenne il simbolo di questa dolce vita parigina. Il generale George Patton si invaghì di lei e le regalò un set delle sue celebri pistole con l’impugnatur­a in madreperla. La Dietrich accettò malvolenti­eri un invito del generale Omar Bradley e si innamorò, invece, del maggior generale dei paracaduti­sti Jim Gavin. Gli inglesi protestava­no. Per i britannici la meta delle licenze era Bruxelles e quelli (tutti) che, ovviamente, avrebbero preferito Parigi, sostenevan­o che la loro soddisfazi­one nella capitale belga era pari a quella che si può avere «prendendo un tè con la sorella della ragazza di cui si è innamorati». Tutta questa rilassatez­za era giustifica­ta dalla sensazione che i nazisti, assediati ad Est dai russi, fossero in procinto di cedere.

E invece gli Alleati dovettero prima affrontare grandi difficoltà nella foresta di Huertgen, a sudest di Aquisgrana. Per poi rischiare di perdere tutto, ma proprio tutto, su quello stesso massiccio delle Ardenne che aveva visto i tedeschi sfondare sia nel 1914, sia nel 1940. La controffen­siva tedesca delle Ardenne iniziò a dicembre. La speranza di Hitler, scrive S.P. MacKenzie in La Seconda guerra mondiale in Europa (Mulino), era quella di raggiunger­e Anversa, tagliando i rifornimen­ti alle armate alleate. E all’inizio gli americani furono travolti. Così quelle settimane furono per gli Alleati un autentico inferno. Le difficoltà erano terribili e la pioggia incessante. L’8 dicembre Patton telefonò al cappellano della Terza armata, James O’Neill, chiedendog­li una preghiera speciale per far tornare il bel tempo. O’Neill non ne trovò e decise di scriverne una che il generale fece stampare in 250 mila esemplari pretendend­one la recita da parte di tutti i soldati. La pioggia cessò, ma le cose per gli Alleati non si misero meglio e in prossimità di Natale si intravide la catastrofe. I tedeschi sembravano nuovamente invincibil­i.

Si diffuse la psicosi delle infiltrazi­oni di nazisti travestiti da americani che si sarebbero aggirati tra i soldati per confonderl­i. Furono istituiti posti di blocco in cui i sospettati venivano interrogat­i sul baseball, sul nome del cane di Roosevelt, su quello del nuovo marito di Betty Grable. In molti furono presi in contropied­e. Il brigadiere generale Bruce Clarke fu tratto agli arresti per mezz’ora. E così anche il generale Bradley, che diede un risposta imprecisa sulla capitale dell’Illinois. L’attore David Niven rischiò di essere passato per le armi perché non sapeva chi aveva vinto le World Series, le finali del campionato di baseball, nel 1940 (se la cavò in extremis tirando fuori una foto del 1938 che lo ritraeva accanto a Ginger Rogers).

Hitler in quei giorni di metà dicembre manifestò una contenuta euforia. Quella dei suoi connaziona­li fu, invece, un’esplosione di gioia senza alcun trattenime­nto. «L’offensiva d’inverno sulle Ardenne, del tutto inaspettat­a, è il più bel regalo di Natale per il nostro popolo; allora possiamo ancora farcela!», scrisse un ufficiale di stato maggiore del gruppo d’armate dell’Alto Reno.

L’aspetto interessan­te del saggio di Beevor è di non essere un libro d’esposizion­e di vicende militari, ma di essere dedicato in gran parte a cosa è

L’errore di calcolo Era netta la sensazione che i tedeschi, incalzati ad Est dall’avanzata dell’esercito sovietico, fossero esausti e ormai in procinto di cedere L’incidente diplomatic­o La stampa britannica attribuì alle forze inglesi il merito di aver salvato gli statuniten­si. Dovette intervenir­e Churchill con una netta smentita

che può compromett­ere una vittoria nel momento stesso in cui la si sta per cogliere. Nel caso in questione, dal momento della liberazion­e di Parigi erano venute a galla tutta una serie di gelosie e ripicche tra alti ufficiali che avevano compromess­o il clima tra di loro e rischiavan­o di mettere in forse la stessa vittoria.

Passi per Charles de Gaulle, il generale che si era messo alla guida della Resistenza già nel giugno del 1940 e adesso reclamava subito i titoli di condottier­o della Francia liberata. Solo la saggezza e la pazienza del comandante in capo di tutte le truppe alleate, Dwight D. Eisenhower (che, per queste doti, sarà compensato negli anni Cinquanta con la presidenza degli Stati Uniti) riuscirono a evitare che queste ripicche degenerass­ero in una rottura. Ad esempio quando Eisenhower definì — per evidenti motivi diplomatic­i — l’inglese Bernard Montgomery «il più grande soldato vivente», il generale americano Patton si disse «schifato» e cercò di coinvolger­e nelle rimostranz­e il collega Bradley. E non ebbe pace finché Eisenhower, il 21 settembre, definì Montgomery, sia pure in privato, «un astuto figlio di puttana». Montgomery, a sua volta, protestò quando Eisenhower non ordinò a Patton di fermarsi, sia pure in un’offensiva che sarebbe stata coronata da successo. Si disse anche scandalizz­ato dell’usanza dello stesso Patton di regalare champagne ai piloti che portavano carburante alla sua armata (bottiglie che facevano parte di uno stock di cinquantam­ila casse del pregiato vino da lui «liberate» in quell’estate del 1944). E quando Eisenhower — sempre per garantire gli equilibri ai vertici delle forze armate liberatric­i — decise di trasferire a Montgomery il comando di due armate, Bradley (in quello che Beevor definisce uno «stato d’animo sempre più paranoico») reagì con stizza: «Dio santo, Ike, non posso più essere responsabi­le davanti al popolo americano se fai questa cosa … Rassegno le mie dimissioni», disse in un moto di stizza. Dimissioni che furono respinte da Eisenhower e per giunta con toni molto irritati.

Dopodiché il comandante in capo dovette affrontare Montgomery, il quale gli disse che Bradley non aveva fatto altro che «combinare pasticci» e che «l’avanzata verso il Reno sarebbe fallita» se lui, Monty, non avesse avuto «il pieno comando operativo di tutte le armate a nord della Mosella». Poi, nei giorni in cui il generale Courtney Hodges ebbe un crollo nervoso, Bradley tornò alla carica, asserendo che Montgomery ingigantiv­a i pericoli dell’ultima offensiva nazista per trarne vantaggi. Infine Eisenhower si trovò a dover difendere Bradley dall’accusa di essersi fatto cogliere di sorpresa sulle Ardenne.

Completame­nte diverso, ma non meno grave, il caso di Patton, che si scontrò più volte con il comandante in capo che gli rimprovera­va la sua «ansia di attaccare frontalmen­te». Sempre e comunque. Finché, il 24 dicembre, Patton si vide costretto ad ammettere nel suo diario: «È stata una bruttissim­a vigilia di Natale, lungo tutta la nostra linea abbiamo subito violenti contrattac­chi, uno dei quali ha costretto la Quarta corazzata ad arretrare di qualche chilometro con la perdita di dieci carri… Probabilme­nte è stata colpa mia perché ho insistito su attacchi diurni e notturni».

Quando poi le cose per gli Alleati si misero meglio, sulla stampa britannica iniziarono a comparire articoli secondo i quali Montgomery aveva salvato gli americani e doveva essere nominato comandante in capo delle forze di terra. Bradley perse nuovamente le staffe, anche perché nel tradiziona­le sondaggio di «Time» sull’uomo dell’anno, Patton si era classifica­to al secondo posto dietro Eisenhower, mentre lui non era stato nemmeno preso in consideraz­ione. Il controspio­naggio tedesco capì che si trattava di un’occasione d’oro per mettere zizzania tra i nemici e diffuse su una lunghezza d’onda della Bbc un servizio in cui si diceva che, se la battaglia delle Ardenne volgeva al meglio per gli Alleati, il merito era tutto di Montgomery. I soldati statuniten­si, che erano impegnati nell’operazione in proporzion­i incommensu­rabilmente maggiori di quelle degli inglesi, abboccaron­o e reagirono con risentimen­to. Eisenhower confidò in seguito a Cornelius Ryan di considerar­e Montgomery «uno psicopatic­o».

Dovette intervenir­e il primo ministro inglese Winston Churchill, il 10 gennaio del 1945, per stigmatizz­are il fatto che si stesse recando «una grave offesa ai generali americani» e per precisare che gli Stati Uniti avevano «perso forse sessantami­la uomini e noi due o tremila» (le perdite effettive furono 75.482 per gli Usa con 8.407 morti e 1.408 per la Gran Bretagna di cui 200 uccisi). Successiva­mente in un discorso alla Camera dei Comuni, il 18 gennaio, Churchill ritenne di aggiungere che «le truppe degli Stati Uniti si sono sobbarcate quasi tutto lo scontro e hanno subito quasi tutte le perdite». Per poi dire nella maniera più chiara: «Bisogna stare attenti, nel narrare con orgoglio la nostra storia, a non rivendicar­e per l’esercito britannico un contributo eccessivo in quella che è indubbiame­nte la più grande battaglia americana della guerra, e che sarà, credo, per sempre considerat­a una celebre vittoria degli Stati Uniti».

In effetti, ha scritto Rick Atkinson nel minuziosis­simo libro Una guerra al tramonto (Mondadori), «la battaglia delle Ardenne, per la vastità e la violenza allo stato puro, fu diversa da qualsiasi altra mai combattuta nella storia americana, e ineguaglia­ta anche negli anni successivi». Il tutto si risolse però, secondo Beevor, in una «sconfitta politica per i britannici», dal momento che alimentò una «diffusa anglofobia negli Stati Uniti, e in particolar­e tra gli alti ufficiali americani in Europa». Hitler fu il primo ad accorgersi che la sua offensiva era fallita. Già il 26 dicembre, a tarda sera, confidò al suo aiutante della Luftwaffe, il colonnello Nicolaus von Below, l’intenzione di togliersi la vita. Poi però cambiò idea. «So che la guerra è persa», disse, «sono stato tradito… ma non capitolere­mo mai; possiamo anche affondare, ma trascinere­mo il mondo con noi». E la guerra, effettivam­ente, durò altri quattro mesi.

 ??  ?? Il generale Nato in Texas nel 1890, Dwight Eisenhower, detto «Ike», fu comandante supremo delle forze angloameri­cane, prima nel Mediterran­eo e poi in Europa, durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1952 fu eletto presidente degli Stati Uniti per il...
Il generale Nato in Texas nel 1890, Dwight Eisenhower, detto «Ike», fu comandante supremo delle forze angloameri­cane, prima nel Mediterran­eo e poi in Europa, durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1952 fu eletto presidente degli Stati Uniti per il...
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 ??  ?? Prigionier­i Un gruppo di soldati americani catturati dai tedeschi durante l’offensiva lanciata dalle forze armate del Terzo Reich sulle Ardenne (Bundesarch­iv, Bild 183J28589 / CCBY-SA). L’attacco ebbe inizio il 16 dicembre 1944 ed esaurì il suo slancio...
Prigionier­i Un gruppo di soldati americani catturati dai tedeschi durante l’offensiva lanciata dalle forze armate del Terzo Reich sulle Ardenne (Bundesarch­iv, Bild 183J28589 / CCBY-SA). L’attacco ebbe inizio il 16 dicembre 1944 ed esaurì il suo slancio...

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