Gps ed errori, quando l’intuito è la miglior tecnologia
Dopo il pasticcio Mercedes la F1 processa l’ingegneria estrema. E la Ferrari telefona: da voi piove?
«Il vero Giro comincia oggi. Fin qui abbiamo scherzato: solo la salita del Passo Daone era davvero impegnativa. Il Mortirolo è la montagna di Contador: farà di tutto per vincere la tappa. E noi daremo l’anima per Aru e per ribaltare la classifica».
Paolo Tiralongo, 37 anni, dalla Sicilia con furore (suo il traguardo di San Giorgio del Sannio con una fuga d’antan), è la memoria storica del Giro. Del gregario ha tutto: le mani grandi, lo sguardo furbo, la gamba esperta, il cuore generoso. Nel 2010 ha aiutato Contador all’Astana, qui fa lo zio di Aru. Li conosce bene. Li racconta così.
Tiralongo, i duellanti si somigliano?
«Sì, nel carattere: decisi, orgogliosi. Alberto ha orari spagnoli: con lui per l’allenamento si parte un po’ dopo. Fabio è sardo nel midollo: preciso, puntuale, metodico. E più incazzoso: se le cose non vanno come dice lui, perde le staffe». Con chi c’è più amicizia? «Con Alberto ho corso una stagione, Fabio lo conosco da sempre e insieme facciamo anche le vacanze al mare, l’ultima in Messico».
Contador può migliorare? E Aru?
«Fisicamente Alberto è al top, a livello psicologico non lo ammazzi: piuttosto muore lui. Fabio è giovanissimo: deve imparare tutto. Non si dà pace per la crono di Valdobbiadene ma a me non è dispiaciuto». Punto debole di entrambi. «A Contador manca la squadra: gli auguro che al Tour gliene diano una migliore. Fabio paga il virus pre-Giro. Senza quei 4,5 kg persi in 4 giorni oggi sarebbe maglia rosa».
Perché Contador vuole parlare solo in castigliano?
In casa Mercedes il processo ai responsabili della strategia autolesionista di Monaco prosegue a porte chiuse. Mentre fra gli appassionati di F1 ne è partito un altro contro i clan di ingegneri e la tecnologia che dominano tutto e tutti, incluso un campione del mondo come Lewis Hamilton che, pur incredulo, ha obbedito agli ordini dei tecnici. Poteva rifiutarsi? «Assolutamente no — risponde Jean Alesi —. A Montecarlo sei isolato con la radio, non hai la possibilità di vedere nulla come in altre piste. Fai quello che ti dice la squadra e non discuti».
Nell’era del controllo totale e delle monoposto «teleguidate» dai box gli errori umani di Verstappen,
«Perché ha paura di essere frainteso. Ma con me usa l’italiano. La sospensione per il clenbuterolo l’ha segnato molto: è cambiato, si è chiuso».
Cho tra i due è il più superstizioso?
«Fabio. Ha dei braccialetti particolari e quando rovescia il sale a tavola ne butta un pizzico alle spalle».
Il più bel gesto di Contador e Aru per il gregario Tiralongo.
«Giro 2011, quando Alberto mi aiutò nell’arrivo in salita a Macugnaga, dove vinsi: un episodio bello per il ciclismo. Di Fabio mi sono piaciute le lacrime quando una settimana fa ho vinto a San Giorgio». del muretto Mercedes, dei commissari di gara — due pesi e due misure, con Alonso punito e Ricciardo no — hanno fatto impazzire la roulette distribuendo fiches a casaccio. Un regalo non solo per Rosberg e Vettel, ma soprattutto per chi sonnecchiava sulle tribune e davanti alla tv fino al 64esimo giro.
Simulatori da decine di milioni di euro, garage remoti, power unit da fantascienza e poi gli ingegneri della Stella si perdono in un semplice calcolo matematico. Possibile? Sì. A fidarsi troppo delle «macchine» — sostengono i critici — succede. Istinto e buon senso avrebbero salvato la corsa di Hamilton. Toto Wolff, il team principal della squadra, per spiegare i numeri inesatti ha dato la colpa al Gps, poco efficace sulle strade del Principato. La Fia lo ha smentito — «Il dispositivo c’è anche qui e funziona» — ma anche se il rilevatore fosse davvero inaffidabile, che bisogno c’è di seguirlo fino all’autodistruzione?
Pit stop La Mercedes al cambio gomme: domenica a Montecarlo gli uomini d’argento ne hanno fatto uno di troppo
(Reuters)
(Ansa) Chi russa di più? «Nessuno dei due: io!». Cosa tengono sul comodino?
«Alberto il road-book della corsa. Fabio il telefonino e, a volte, i libri di inglese».
Sia sincero, Paolo: il Giro è finito?
«Lo ripeto a Fabio da Sanremo: il Giro finirà domenica alle 18 a Milano. Non prima. Fin lì, mai abbassare la guardia. Li ho contati: alla fine mancano 16 mila metri di dislivello. Pieni di insidie. Ha visto quante cadute?».
Il pericolo è il vostro mestiere.
« Raggiungiamo velocità pazzesche su strade schifose. E sumano. Già Giro-Tour è difficile… La Vuelta, in confronto, è una passeggiata. No, non ci credo».
Crede a Contador quando dice che si ritirerà nel 2016? «Se l’ha detto, lo farà». E al suo nipotino Aru cosa augura?
«Fabio è un predestinato. Ha una mentalità che fa la differenza. Chi s’innamora delle corse di un giorno, svanisce. Quelli che hanno la testa per fare i grandi giri da tre settimane, restano. E non sono tanti. Nel futuro Fabio vincerà molto, incluso il Tour. Parola di zio Tiralongo».
L’intuito e le vecchie maniere a volte aiutano più dei processori. Raccontano che durante le prove libere in Ferrari qualcuno, vedendo nuvoloni neri in una parte della pista, abbia chiamato un hotel nei paraggi per chiedere se pioveva. Non si fidavano delle previsioni meteo che cambiavano di continuo. Al di là del singolo episodio, il pasticcio della Mercedes nasce anche perché al posto di un «uomo solo al comando» — come vorrebbe Niki Lauda — c’è un gruppo guidato dal responsabile delle strategie James Vowles. E tante teste possono far perdere millesimi preziosi. «Se la Ferrari avesse fatto un errore del genere ne parleremmo all’infinito — commenta Gian Carlo Minardi —. Oggi le scelte del muretto dipendono da quelle di 30-40 persone. Bisognerebbe semplificare tutto: a Indianapolis il pit-stop lo fanno in sei». E sull’ipotesi che un pilota si ribelli alla squadra: «Non scherziamo».