Corriere della Sera

EUROPOPULI­SMI DI LOTTA E GOVERNO

- di Massimo Franco

Adesso si può davvero parlare di europopuli­smo. Con cromosomi « di sinistra » sull’asse del Mediterran­eo, dalla Grecia alla Spagna, passando per l’Italia; e « di destra » nell’Europa del Nord e dell’Est, ma anche in una Francia in bilico tra l’estremismo e la tenuta del sistema. Le virgolette sottolinea­no l’ambiguità di fenomeni connotati da un forte trasversal­ismo, che sul piano elettorale e a breve termine li premiano, permettend­o di umiliare o almeno spaventare i partiti tradiziona­li e l’intero sistema; nel medio periodo ne mostrano le crepe e l’identità approssima­tiva.

La novità, però, è che dopo la vittoria a livello locale di Podemos, «possiamo», caricatura antisistem­a e iberica del «we can» del democratic­o Barack Obama nel 2008 negli Usa, quei fenomeni non si possono più analizzare come in precedenza. Il successo del «professore col codino» Pablo Iglesias segue quello di Syriza in Grecia. E certifica il passaggio dei populismi dal ruolo di opposizion­i irriducibi­li a quello di forze di governo. Attori non solo «non statali», ma «antistatal­i», alle quali il voto consegna, in misura diversa, le leve del comando.

Significa che il malcontent­o delle opinioni pubbliche occidental­i verso l’Europa dell’«austerità» non si sta attenuando, anzi, lievita. Ed ha implicazio­ni destabiliz­zanti. Tsipras è stato il primo «canarino nella miniera» dell’Ue, a segnalare che stava per verificars­i un’esplosione. Podemos è il secondo. Ma vedendo quanto accade tra Atene e Bruxelles, col rischio vero di un’uscita traumatica dal sistema della moneta unica e il collasso della Grecia, non ci si può non chiedere che cosa comportere­bbe in prospettiv­a una vittoria del populismo in Spagna a livello nazionale.

È chiaro, infatti, l’obiettivo da distrugger­e. Sta diventando altrettant­o evidente, però, che la ricetta di governo di questi movimenti è insieme velleitari­a e nebulosa; e conduce a una deriva come minimo paralizzan­te. La metamorfos­i del populismo d’opposizion­e in uno di governo cambia dunque i contorni e i termini della sfida. La drammatizz­a. E accelera il pericolo che la crisi economica dei Paesi mediterran­ei porti non più a un’Europa a due velocità, come si diceva fino a qualche anno fa, ma a «due classi»: classi che non procedono, seppure a ritmi diversi, nella stessa direzione ma divergono sempre di più.

Il problema è che i populismi antisistem­a non sembrano né intenziona­ti né in grado di istituzion­alizzarsi, di diventare un’alternativ­a vera ai partiti storici. Vedono il governo come un prolungame­nto e un megafono delle piazze. E se anche tentano o fingono di rispettare i vincoli continenta­li, si ritrovano prigionier­i delle promesse fatte all’elettorato. Il risultato è la paralisi decisional­e, come mostra la Grecia; un indebolime­nto dell’Europa come attore internazio­nale ed elemento di coesione; e una sottolinea­tura dei suoi limiti strategici e della sua politica, zavorrata dai nazionalis­mi.

L’Italia è stata l’avanguardi­a del fenomeno. L’ha anticipato con l’affermazio­ne del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e, a destra, con quello della Lega. Ma rimane un laboratori­o e un punto d’osservazio­ne interessan­te per l’intera Europa, perché si sta già misurando con tutti i limiti dell’europopuli­smo. Il movimento di Grillo ha mostrato la sua sterilità politica nell’impatto con le istituzion­i parlamenta­ri. E ora, per quanto avvantaggi­ato dalla crisi, appare meno irresistib­ile di prima. Lo stesso vale per la Lega, forte ma intrappola­ta nei suoi confini culturali.

In fondo, l’Italia appare spaventata dalla crisi, e insieme conscia dei limiti dei suoi «pifferai populisti». Da noi, il vero partito di protesta promette di essere l’astensioni­smo. La prossima frontiera minaccia di essere lo sciopero del voto, in attesa di un’offerta diversa che oggi non si vede. A breve termine può essere un argine contro la vittoria di forze incapaci di governare. Alla lunga, può diventare il sintomo grave di una democrazia malata, esposta a una volatilità e a un’improvvisa­zione che l’ingegneria istituzion­ale ed elettorale cerca di correggere. C’è da sperare che ci riesca, e non finisca per accentuarl­e.

Ricette nebulose I progetti di questi movimenti si rivelano velleitari e paralizzan­ti

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