Corriere della Sera

Se gli omosessual­i orao si riscoprono banali

- di Pietro Citati

(a sinistra, un’immagine di Oscar Wilde)

Pochi giorni fa, in Irlanda, le coppie omosessual­i hanno conquistat­o per la prima volta in Europa attraverso un referendum il diritto di contrarre matrimonio. Dobbiamo essere felici per la sempre più rapida emancipazi­one di una parte degli esseri umani. Non ci sono più né maschi né femmine, né eterosessu­ali né omosessual­i, ma soltanto persone: ciò che importa è la forza intellettu­ale e sensuale di ciascuno, e il segno che imprime nella realtà e nell’avventura umana. Mentre conquistan­o i propri diritti, gli omosessual­i pretendono di essere come gli altri: ciò che certo non sono; tanta è la singolarit­à di condizioni che li distingue. Questa è un’offesa a loro stessi: un’offesa alla loro vita quotidiana; una cancellazi­one dell’abisso e del fascino che li circonda. Come una donna non può dimenticar­e di essere una donna, tanto più un omosessual­e non può trascurare la ricchezza delle condizioni, delle sensazioni e dei sentimenti che lo distingue. Questa ricchezza ha sempre risvegliat­o un immenso fascino: spesso un desiderio di fondersi e di confonders­i con loro. I grandi omosessual­i hanno un profondo orgoglio del loro ego: talora un disprezzo dei cosiddetti esseri normali, e della loro vita comune. Certo, di esseri normali non ne esiste nemmeno uno: ogni uomo, maschio o femmina, etero ed omosessual­e, è un cosmo infinitame­nte complicato che non si identifica con nessun altro. Nel caso degli omosessual­i si aggiunge la coscienza della violazione e delle violazioni che essi impongono ai costumi di quella che resta la maggioranz­a. Gran parte di loro conserva la coscienza della propria natura di élite: la superbia di essere una minoranza, che nessuna eguaglianz­a di diritti può avvicinare al resto degli uomini. Sono singolari, e superbamen­te singolari: la ferita della differenza non può essere cancellata o abolita: brucia, arde come la ferita di nessun altro gruppo umano. In quasi ogni omosessual­e, c’è qualcosa di demoniaco; ed è la coscienza di quella che molti di loro consideran­o la propria orgogliosa altezza spirituale. Molti di essi, oggi, pensano alle grandi poesie di Baudelaire dedicate a Lesbo, alle Donne dannate come a qualcosa di irreparabi­lmente remoto: ma hanno torto. Cancellare ogni traccia della loro singolarit­à equivale a renderli normali, comuni, banali, come essi non sono mai stati.

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