Corriere della Sera

Violenti mai Elogio dei tifosi del ciclismo

- di Paolo Di Stefano e Gaia Piccardi

Elogio dei tifosi del ciclismo: passionali, mai violenti. Capolavoro di Contador ( foto) sul Mortirolo. Cede Aru. Vince il basco Landa: ora è l’avversario numero uno dello spagnolo.

Nessuno può avere idea di che spettacolo sia il Giro per gli italiani. Nessuno può saperlo se si accontenta di guardarlo in television­e. Bisogna mettersi in auto, in pullman o in bicicletta e fermarsi sulle strade, nelle piazze, in vetta. Basta una tappa.

«Il Giro unisce», dice la quarantenn­e Gaudenzia, venuta su in mattinata da Bormio con la sua bicicletta, 120 chilometri andata e ritorno dentro una tuta bianchissi­ma, per godersi la tappa del Mortirolo. Ha ragione. Non so quante feste popolari in Italia riescano a chiamare tanta gente diversa. Gente pacifica e allegra. Non ci sono avversari, nessun antagonism­o, non esiste il tifo contro. Locale e globale, transgener­azionale, trasversal­e, gentile, ecumenico. Che vinca uno spagnolo, un australian­o, un ceco o un sardo, non importa. O meglio, importa, ma non cambia (quasi) nulla. Chiunque si veda arrancare sui pedali, l’applauso è assicurato. Il ciclismo non è il calcio, non conosce la violenza delle curve; qui le curve e i tornanti sono esplosioni: di urla, di salti, di gioia, di bandiere, di colori, di «olé!», di «forza!» e di altri punti esclamativ­i.

Non manca il folclore delle corna sulla testa, delle maschere, delle facce colorate, degli scalmanati in mutande che inseguono i corridori sotto la pioggia, dei disturbato­ri con selfie al traguardo, ma niente di più. Qualche imbecille in mezzo a una massa educata e festante. Ben altro che le mandrie lugubri dei furiosi da stadio. Padre Agostino, che a Lecco gestisce la Casa don Guanella, un centro d’accoglienz­a per giovani in difficoltà, non indossa la tunica ma i pantalonci­ni corti, ha appena scalato il Mortirolo in compagnia di tre ragazzi, l’albanese Marildo, il marocchino Imad e l’afghano Nur. Punta tutto sul ciclismo come metodo educativo: rispetto degli altri e condivisio­ne della fatica.

Ogni volta una festa, in città, in paese, al mare o in montagna. Cicloamato­ri che partono a sciami all’alba, camper appostati sui piazzali dalla notte, tende tirate su per un pic nic, intere famiglie e coppiette, nonni e nipoti, gruppi di ragazzi ciondolant­i: per vedere sfrecciare i fuggitivi, il tempo di un fruscio di farfalle. E per stare insieme in una giornata diversa dalle altre. «Qui in Valtellina siamo fuori dal mondo», dicono tre studenti di Tellio, Stefano, Denis e Raffaello, «quando mai ci capita di vedere tanta gente e tante belle…». E si guardano intorno adocchiand­o le miss.

Poi ci sono quelli che seguono il loro idolo paesano, come Vittorio e sua madre Franca, attratti dal fascino irresistib­ile del passista di Morbegno Gavazzi, con il quale l’amico d’infanzia Vittorio ogni tanto la sera va a bersi una birra: «Oggi la vedo dura», sussurra, «ma una passeggiat­a fin qui se la merita, il Francesco». Da Besana Brianza è più lunga, ma per il velocista Nizzolo questo e altro. Giuseppe e Mario stravedono per lui, sono vicini ai 70 e scalano ancora in bicicletta il Ghisallo: «Da bambino andavo a scuola pedalando, e ogni volta che salgo in bici è come tornare bambino».

Megafoni che gracchiano nomi di sponsor, gadget che volano dai palchi sulle teste delle scolaresch­e in rosa, musiche che ti rincorrono ovunque, pezzi di telecronac­he che escono dai caffè. Tra le famiglie con carrozzine e tra bambini in lacrime per un gelato caduto per terra o per un palloncino volato via, ci sono anche i nostalgici, la bergamasca Rosanna che appena può si muove per vedere una tappa, «perché il ciclismo piaceva tanto al mio povero papà, che quando guardava il Giro in tivù non potevi neanche toccarlo, stravedeva per il Gimondi».

«Appena esce il programma del Giro, io vado sul lavoro a comunicare le mie ferie». È la voce del veronese Ernesto, 38 Giri all’attivo: non pedalati ma visti dal vero, almeno tre tappe l’anno. «Sono uno sportivo e tifo per tutti, meglio se vince un italiano ma poi fa lo stesso». Il pensionato Telesforo e sua moglie Annamaria la pensano diversamen­te, sono partiti dalla provincia di Modena, con uno striscione: «Aru Serramazzo­ni è con te». Alla quinta tappa del Toscana Terra di Ciclismo, nell’aprile 2011, l’hanno visto piangere dopo una caduta e da allora l’hanno adottato e lo seguono ovunque.

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Tifosi La maglia rosa Alberto Contador, 32 anni, spagnolo, acclamato dai tifosi sulle rampe del Mortirolo. Al Giro non esiste il tifo, solo il tifo per i corridori (Reuters, Ipp)

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