Corriere della Sera

La spada di Damocle degli assegni «d’oro» e del contratto statali

- Di Antonella Baccaro

Edue. Al ministero dell’Economia ieri hanno tirato un mezzo sospiro di sollievo: l’inammissib­ilità del ricorso proposto da due commission­i tributarie contro l’aggio, cioè quella percentual­e dell’8% che il contribuen­te paga come remunerazi­one dell’attività degli agenti della riscossion­e, consente di risparmiar­e fino a 2,5 miliardi di rimborsi. Ma il pericolo che una sentenza della Corte costituzio­nale possa far saltare l’equilibrio dei conti pubblici non è ancora scongiurat­o. Sono in arrivo, infatti, altre due sentenze di rilievo, in grado, queste sì, di provocare danni. La prima riguarda ancora le pensioni, come quella che è costata allo stato 2,2 miliardi di rimborsi più una spesa aggiuntiva annua di 500 milioni. Ma se quella coinvolgev­a il destino di 5 milioni di pensionati con un assegno da tre volte il minimo in su, questa riguarderà quelli più ricchi. Sotto la lente della Consulta è finito il prelievo sulle «pensioni d’oro» disposto da Letta nel 2013 sugli assegni di circa 50 mila pensionati, quelli che ricevono un assegno superiore a 14 volte il minimo (circa 90 mila euro all’anno). Costo di una sentenza avversa: 93 milioni all’anno, che si riducono a 52 se si calcolano i mancati incassi fiscali. Non v’è dubbio che a tenere il governo Renzi con il fiato sospeso sia l’ultimo pronunciam­ento in arrivo il 23 giugno, quello sul blocco del rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici, fermi da sei anni. Costo del recupero dai 14 ai 16 miliardi: l’intero ammontare di una legge finanziari­a. In via XX Settembre si fanno i dovuti scongiuri.

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