Corriere della Sera

«Macchina requisita e ora rischio la condanna»

La conducente: «Non sono un’abusiva, svolgo un servizio. È la categoria intoccabil­e»

- G. Valt.

«Per me Uber è un servizio legale, qualsiasi cosa dicano i giudici. E sa cosa? Io ci tengo alla legalità...». Anna Calderelli, ex imprenditr­ice monzese di 55 anni, per il Tribunale di Milano, da ieri, è una «tassista abusiva». Pronti via, dopo soltanto un mese e mezzo da autista UberPop, la notte del 19 marzo ha visto i vigili milanesi requisire la sua Toyota Prius.

«Due clienti mi hanno fatto un agguato, lo sapevo che non dovevo caricarli, avevo un presentime­nto». Sequestro ai fini della confisca, multa (minima prevista) di 1.750 euro, sospension­e della patente di quattro mesi per violazione dell’articolo 86 del codice della strada sul trasporto pubblico non di linea. Con il giudice di Pace che, in attesa dell’udienza del 10 giugno, accoglie la sospensiva.

Dopo l’ordinanza di ieri, però, Anna è meno ottimista sul suo destino: «Ora ho minori chance di essere assolta. È un fatto giuridico rilevante, un precedente, non una cosa da poco... Ma non capisco». Che cosa? «Perché le leggi della concorrenz­a debbano valere per edicolanti, panettieri e ristorator­i ma non per i tassisti, che peraltro non svolgono un servizio di pubblica utilità come le categorie che ho citato. Perché la loro licenza dev’essere più protetta delle altre?». Una sera, fuori dal «Byblos», ritrovo per calciatori e veline, ha subito un’aggression­e da un tassista. Denunciato. «Ho avuto paura, il clima è pesante. Non volevo ritorsioni».

Anche perché, secondo lei, UberPop non compete con i tassì: «La mobilità sta cambiando». «Nei 45 giorni in cui ho lavorato — racconta — ho fatto 330 corse, tutte notturne con tariffe da cinque euro. Trasportan­do gruppi di ragazzini di 18 anni che non userebbero mai le auto bianche. Li vedo contare le monetine per tornare a casa dalla discoteca. Arrivano con il car sharing e tornano con UberPop. E niente stragi del sabato sera». Non guida per guadagnare, giura. Anzi, il lavoro, l’ha fatta riemergere dalle difficoltà. «Azienda fallita, matrimonio andato male, mi sono legata alla app perché mi permette di incontrare altre persone. Mi collego al sistema e rispondo alle chiamate: non è un lavoro, è una scelta. E il guadagno è un’inezia». In realtà i suoi colleghi dicono il contrario. « Perché si accordano con i clienti per risparmian­do il 20% di commission­e Uber. Ma io le cose illegali non le faccio. Sa cosa? Io ci tengo alla legalità».

In 45 giorni ho fatto 330 corse, tutte notturne a 5 euro: ho portato a casa ragazzi che mai userebbero il taxi

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