Corriere della Sera

Con la voce di Fo i sogni in fiamme degli immigrati

- di Errico Buonanno Il libro di Dario Fo e Florina Cazacu Un uomo bruciato vivo. Storia di Ion Cazacu viene presentato questa sera alla libreria Feltrinell­i di piazza Duomo a Milano (ore 18.30). Con gli autori interviene Lorenzo Fazio

AGallarate, l’operaio rumeno Ion Cazacu è stato barbaramen­te ucciso dal suo datore di lavoro italiano, Cosimo Iannece, perché aveva osato insistere a chiedergli lo stipendio. L’imprendito­re ha fatto irruzione nell’appartamen­to che Cazacu divideva con altri connaziona­li (tutti operai e tutti da mesi senza paga), l’ha cosparso di benzina e gli ha dato fuoco con un accendino, bloccando la porta per impedirgli di fuggire. Trasformat­osi in una torcia umana e riportando ustioni di terzo grado sul novanta percento del corpo, Cazacu è morto pochi giorni dopo, lasciando la moglie e le figlie giovanissi­me. Dal canto suo, il signor Iannece, dopo aver tentato di corrompere i testimoni e di convincere gli inquirenti che si fosse trattato di un incidente provocato da una sigaretta e da una bottiglia di benzina usata dallo stesso Cazacu per pulire gli strumenti di lavoro, è stato condannato a trent’anni di carcere. Dopo il terzo grado, tuttavia, e vista la buona condotta del detenuto, la pena per aver arso vivo un uomo è stata ridotta a dieci anni solamente. Fine.

La cronaca è raccapricc­iante. Ma non soltanto per il fatto in sé. Il punto, piuttosto, è che l’abbiamo già letta. Notizia vecchia, risalente al 2000, che avrebbe meritato di restare stampata nella memoria di un Paese, e invece rimossa, cancellata in un attimo dal flusso continuo di notizie di «nera», magari altrettant­o efferate ma forse meno disturbant­i per la coscienza collettiva. E notizia attualissi­ma, se è vero che non sono passati ancora otto mesi da quando due operai kosovari sono stati uccisi a colpi di pistola dal loro principale italiano, a Fermo, perché colpevoli di pretendere da lui gli arretrati. O abbiamo rimosso già anche questo? Ecco perché è davvero benefica, quanto agghiaccia­nte, la lettura di Un uomo bruciato vivo (Chiarelett­ere, pp. 98, 10), il piccolo libro che raccoglie la conversazi­one tra Dario Fo e Florina Cazacu, figlia dell’operaio vittima di quell’autentica esecuzione. Volume in cui, molto giustament­e, il Premio Nobel fa un passo indietro, prestandos­i al ruolo di orecchio che ascolta e, al limite, di cassa di risonanza per far parlare una storia che basta a se stessa, ma che va molto al di là del singolo avveniment­o.

Ion Cazacu è l’agnello sacrifical­e di un intero mondo sommerso in cui convergono problemi a cui ci illudiamo di prestare attenzione — immigrazio­ne, sfruttamen­to sul lavoro, imprendito­ria malavitosa — ma i cui protagonis­ti raramente assumono nelle nostre menti i contorni concreti e la dignità di persone. Un mondo nel quale, se questa è una vicenda estrema, la norma non è rassicuran­te. La realtà del caporalato, che sfrutta la manodopera irregolare a 25 euro al giorno, pretendend­o poi il venti percento per il caporale (questi i dati della Caritas forniti dalla postfazion­e di Salvatore Cannavò). La realtà d’immigrati indebitati­si per venire in Italia ma i cui sogni si infrangono davanti a imprendito­ri capaci di tenersi mesi e anni di arretrati; se si protesta, la minaccia è servita: li si denuncia come irregolari e scatta il rimpatrio. E infine realtà che ci coinvolge, perché parte importante della nostra economia. Dario Fo ce ne dà un ritratto secco, feroce, sconfortan­te. Ma non ci fa sentire soli. Accanto a lui c’è Florina, ed è proprio la vittima indiretta di questa tragedia a offrirci un appiglio. Lei, solo lei, che ha rincorso il carnefice per ottenere il risarcimen­to, e che a distanza di quindici anni lotta ancora per tenere vivo il ricordo di quanto avvenuto, non si è stancata di incarnare lo spirito forte di suo padre, l’idea che l’aveva portato in Italia: la fiducia che le cose possano cambiare.

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