Corriere della Sera

Cronache di ordinaria stupidità in una metropoli senza più cuore

- Di Pierluigi Battista

Se pensate almeno un po’ di bene, non tantissimo ma almeno un po’, del mondo televisivo che promuove i libri e i loro autori, soffrirete leggendo le pagine di Qualunque cosa significhi amore di Guia Soncini, pubblicato da Giunti. Verreste contagiati dal disincanto purissimo che trasuda da questo romanzo, dalla disillusio­ne sul conto dei suoi protagonis­ti, sulla pochezza un po’ miserabile di un universo che si vorrebbe scintillan­te e vivo, ma che è solo una instancabi­le fabbrica del vuoto.

Tom Wolfe ha appiccato a New York il falò delle vanità. Guia Soncini ha messo invece sul piedistall­o del ridicolo l’irresistib­ile carriera dell’editoriali­sta di punta del grande giornalone che verga pensosi commenti sullo «sfascio culturale assoluto per cui in questo Paese i poeti facevano la fame e i cuochi diventavan­o bestseller» e agisce senza sosta per far dimenticar­e il suo borgo natio: Frosolone, provincia di Isernia.

Difficile conquistar­e il brillante mondo milanese «cresciuto nella cerchia dei bastioni» se poi a scuola i tuoi compagni meneghini ti prendono in giro a sangue dicendo che parli come l’Abatantuon­o di Eccezziuna­le… il «terrunciel­lo» che non aspirava a fare l’opinion leader e a sextare in modo ossessivo, ma al massimo a fare il capocurva dei combattent­i milanisti.

Se avete il complesso di inferiorit­à culturale e cercare di non apparire maldestri nella sistemazio­ne estetica della vostra libreria: anche in questo caso, la Soncini vi farà soffrire. Magari non vi chiamate Fanny Montestrut­to, figlia di palazzinar­a romana che all’inizio della carriera, prima di essere civilizzat­a da Elsa, reduce del Dams e imbottita di sonniferi, e dal Vanni da Frosolone, usava dire: «Io so’ Fanny, piascére». Magari non sarete la riedizione del persoche

Tormenti Pseudo intellettu­ali in preda a paure, sentimenti flosci e affetti rinsecchit­i

naggio della Elide dipinta con maestria sublime dal gigantesco Ettore Scola in C’eravamo tanto amati e non avrete scritto la fondamenta­le opera prima La notte in cui mi aprì come una pesca noce per proiettarv­i nel firmamento delle grandi star culturali.

Però, occhio alla disposizio­ne dei libri, alla «parete di titoli giusti», all’impression­e di non avere solo tanti libri ma di «averli ereditati» e che «siano edizioni abbastanza vecchie da proiettare di te l’immagine di una che ci è cresciuta in mezzo». E dunque sarete pur toccati dalla genialità esibizioni­stica se nel «corridoio di libri consunti» fate in modo che spuntino volumi con le dediche falsificat­e dei genitori per fare impression­e, ma solo impression­e, di cultura solida e antica. Ma «gli Adelphi ordinati per colore, no». È eccessivo. Denuncia le origini. Non piace nella cerchia dei bastioni, an- se si comincia a mettere, terroni che non siete altro, «l’articolo determinat­ivo ai nomi maschili con la naturalezz­a d’un Moratti».

Soffrirete, in questo romanzo della Soncini che porta in esergo una citazione strepitosa del Martin Amis dell’Informazio­ne: « Posso addirittur­a dirvi che odore hanno le loro lenzuola: odore di matrimonio». E sperate di non lavorare nel grande circo della piccola e asfittica industria culturale italiana. Perché Soncini scrive un’avvertenza in cui si specifica virtuosame­nte che «ogni elemento di realtà citato nel corso della narrazione deve essere inteso come libera e fantasiosa rielaboraz­ione dell’immaginazi­one dell’autrice». Ma è un’avvertenza dovuta e consigliat­a dagli avvocati. Trovereste pezzetti, frammenti, polvere di voi in queste pagine e nei personaggi che le affollano. E ne soffrirete.

Se fate parte del mondo in cui la «gente aveva tutta un libro in uscita», riconoscer­ete atmosfere, tic, sciocchezz­e, piccinerie, tradimenti. Se invece no, avete la fortuna di starne fuori, soffrirete di meno con il grande, importante, autorevole editoriali­sta che invia a cinque numeri telefonici contempora­neamente lo stesso messaggio: «Senza di te questa giornata è vuota».

Guia Soncini, nei ringraziam­enti, rivela che Lorenzo Cherubini, Jovanotti, dopo aver letto le bozze di questo romanzo, le aveva suggerito questo titolo «splendido» ma «inutilizza­bile»: Una bella storia di gente di merda. Di quella gente lì si accenna nelle righe di questo articolo. Della storia, che negli ultimi capitoli imbocca strade che lasceremo al lettore percorrere, si può solo dire che anche i più smaliziati non cesseranno di stupirsi per la catatonica stupidità che emana dai personaggi, per gli ambienti, per le case, per la forza oramai svuotata del pettegolez­zo come arma di sputtaname­nto universale.

Sentimenti flosci, sensualità pallida, affetti rinsecchit­i. Un mondo in cui il più grande gesto d’amore del marito fedifrago che comunica le sue opinioni al mondo è quello di afferrare mollemente «tra due dita un lobo della moglie» scostandol­e «i capelli dalle sopraccigl­ia». Preludio di un dialogo intenso e appassiona­nte tra coniugi che si conclude con uno sconvolgen­te: «Ma veramente siamo senza caffè?». Veramente. E bisogna leggere questo romanzo per capirlo.

 ??  ?? Guia Soncini, Qualunque cosa significhi amore, Giunti, pp. 256,
14, da oggi in libreria A fianco: Emilio Tadini (Milano, 1927-2002), Il collezioni­sta (1988, olio su tela, courtesy Spazio Tadini)
Guia Soncini, Qualunque cosa significhi amore, Giunti, pp. 256, 14, da oggi in libreria A fianco: Emilio Tadini (Milano, 1927-2002), Il collezioni­sta (1988, olio su tela, courtesy Spazio Tadini)
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