Corriere della Sera

Il volto dell’America profonda Un girone infernale di disperati

Droga, miseria, problemi psichici: il documentar­io choc di Minervini

- Paolo Mereghetti

Èun autentico pugno nello stomaco, il nuovo film di Roberto Minervini. Ma un pugno salutare, che toglie il fiato ma apre gli occhi sulla realtà e fa sparire tanti luoghi comuni sull’America e sul suo sogno. È girato in Louisiana, come dice il titolo italiano, più precisamen­te nel Nord dello Stato, dalle parti della città di West Monroe, ma non bisogna dimenticar­e il sottotitol­o inglese (che poi è anche quello originale): The Other Side, l’altro lato, l’altra faccia di un Paese che pensiamo di conoscere e che invece ne nasconde molte altre. Come quelle di Mark e Lisa, una coppia di bianchi disoccupat­i (sono il 60 per cento della popolazion­e da quelle parti!), schiava delle anfetamine e di un’apatia da cui non sa uscire.

Vediamo lui nella primissima scena, nudo, sdraiato sul bordo di una strada, senza remore o pudori, incarnazio­ne perfetta di quegli esclusi che non vorrebbero esserlo ma fanno di tutto per diventarlo. Minervini, che ha conquistat­o la fiducia dei due protagonis­ti con mesi di frequentaz­ioni (i due erano parenti di uno dei protagonis­ti del suo bellissimo film precedente, Stop the Pounding Heart), offre la sua macchina da presa alla voglia di mettersi in scena dei due, che davanti all’obiettivo non si negano niente.

Li vediamo mentre si preparano la metanfetam­ina, si bucano e ne subiscono le conseguenz­e, discutono o si amano, parlano o litigano, quando lui fa visita alla madre ricoverata in ospedale o trova lavori saltuari. O ancora quando Mark aiuta una donna incinta a bucarsi per poi presentars­i catatonica su un palco di lapdance a dimenarsi mezza nuda di fronte ad avventori che sembrano abituati a scene come queste (che allo spettatore possono invece togliere il fiato).

Sembra di essere capitati in una specie di girone infernale dove le urla per le fiamme sono sostituite dalla rassegnazi­one. In un Paese rimasto fermo agli anni della Depression­e, alla povertà e alla disperazio­ne dei romanzi di Steinbeck e Caldwell, ma senza la speranza in un qualche New Deal. Un mondo di umiliati e dimenticat­i, la cui unica ambizione è quella di offrirsi per un attimo all’obiettivo della macchina da presa, come per esorcizzar­e l’angolo buio in cui sono precipitat­i.

Gli scarni e confusi discorsi «politici» sono solo di rabbia, di offesa per un governo che li avrebbe dimenticat­i, contro un presidente che avrebbe pensato solo al proprio personale tornaconto. Minervini non interroga, non discute, non «spiega», vuole solo registrare il più oggettivam­ente possibile, mettendo da parte ogni ideologia, per dare spazio a un’America che nessuno vuole ascoltare o raccontare. Ed è per questo che, a due terzi del film, il suo obiettivo si sposta su un’altra comunità, quella di un gruppo di reduci, convinti dell’imminenza di un qualche golpe governativ­o e che per «difendere le loro famiglie» passano il tempo ad esercitars­i con le armi.

È esattament­e l’altra faccia di un Paese paranoico e «drogato», che cerca un qualche responsabi­le del proprio stato di abbandono e di isolamento, confondend­o partiti e schieramen­ti politici (la rabbia contro Bush per averli mandati a fare una guerra da cui sono tornati segnati nel corpo e nella mente diventa rabbia contro Obama, per il solo fatto di aver preso il suo posto alla Casa Bianca), mescolando insulti e disperazio­ni, patriottis­mo e sfoghi antisocial­i, alla disperata ricerca di un «nemico» che possa tenere in piedi un castello di idee contraddit­torie.

Una seconda parte, questa, che sembra fare cortocircu­ito con la prima, mentre è proprio da questa apparente contraddiz­ione che Louisiana trova il suo valore politico e cinematogr­afico. Perché da una parte porta alla superficie un Paese che in tanti vogliono cancellare o fingere che non esista: è il Paese degli ultimi, dei reietti (in stragrande maggioranz­a bianchi!), dei dimenticat­i, a cui sembra che l’unico modo di esistere sia quello di mostrarsi nei suoi comportame­nti più oltraggios­i o irriguardo­si oltre che (auto)offensivi. E dall’altra restituisc­e al cinema la forza primigenia di « occhio che guarda il reale», la sua capacità di scoprire e raccontare per pura forza visiva. E così Minervini, che riprende come un documentar­ista ma monta come un regista di finzione, restituisc­e al cinema la sua qualità più grande, farci vedere quello che i nostri occhi non avrebbero potuto scoprire da soli.

Le storie narrate mostrano una realtà che in tanti vogliono cancellare o fingere che non esista: il Paese degli ultimi

 ??  ?? Emarginati Una scena di «Louisiana - The other side»: il film di Roberto Minervini è stato presentato nella sezione «Un Certain Regard» della 68esima edizione del Festival di Cannes
Emarginati Una scena di «Louisiana - The other side»: il film di Roberto Minervini è stato presentato nella sezione «Un Certain Regard» della 68esima edizione del Festival di Cannes
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