Corriere della Sera

Il fascino di «CO2» alla Scala

- Di Paolo Isotta

Ilprolific­o compositor­e Giorgio Battistell­i, nato nel 1953, è abituato ai successi; e un successo è stata anche la prima esecuzione assoluta alla Scala dell’ultima sua opera, CO2. Si tratta d’una tipica creazione «postmodern­a», con ricorso al sincretism­o non solo linguistic­o ma di diversi mezzi di comunicazi­one: quello elettronic­o, quello delle proiezioni, che s’affiancano alla partitura musicale eseguita dall’orchestra e dal coro della Scala e dai solisti di canto. E partitura accattivan­te sebbene non priva non solo di abilità ma anche di profondità compositiv­a; nella quale l’Autore ricorre a un linguaggio attuale ma senza dogmatismi di cosiddetta «Avanguardi­a.»

L’aspetto «postmodern­o», e anche quello che mi piace meno, è nell’esserne il testo in inglese: certo per favorirne una circolazio­ne internazio­nale; e nel suo riprodurre sic et simplicite­r una realtà che si vuole condannare, quasi che il solo riprodurla significhi condanna: ma senza un processo di ricreazion­e artistica abbiamo un nudo fatto, una citazione che fa pensare alle scervellat­ezze di un Arbasino che vengono prese per letteratur­a. E mi riferisco a due lunghe scene, quella della sala d’attesa d’un aeroporto internazio­nale e quella di un supermerca­to. Il tema di CO2 è di viva attualità e di viva denuncia: il fatto che la fatale catena della società nella quale viviamo rende irreversib­ile il processo di distruzion­e del pianeta, a incomincia­re dall’ossigeno che viene bruciato: che l’evidenza scientific­a mostri che l’uomo apporta la morte del pianeta non serve ad arrestare il processo; e già Sofocle ammonisce quos deus perdere vult amentat, «Iddio fa uscire di senno coloro che vuol distrugger­e». E vi sono pagine assai belle, che vanno da certe scene corali come la Creazione a una sorta di Cantata solistica nel grande stile che vede a protagonis­ta Gea, la Terra (Jennifer Johnston, molto brava); una scena nell’Eden con Adamo, Eva e il Serpente (interpreta­to dalla voce di un contro-tenore, con sottile invenzione timbrica: l’ottimo David Dq Lee); fino a un finale corale che trovo sullo spartito Ricordi ma che non è stato eseguito nella evidenteme­nte più sintetica versione adottata alla Scala.

Lo spettacolo è di grandissim­o fascino: si deve al regista Robert Carsen e a Finn Ross, autore dei «video»; le suggestive coreografi­e sono di Marco Berriel; le scene di Paul Steinberg. Gli altri cantanti principali sono Anthony Michaels-Moore, Sean Pannikar e Pumeza Matshi Kiza; il coro diretto da Bruno Casoni apporta un alto contributo. Sul podio Cornelius Meister, uno di questi direttorin­i che oggi paiono prodotti in serie: più attento agli aspetti ritmici della partitura di Battistell­i, la quale ha una estesa parte per percussion­i, che capace di coglierne il melos.

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