«L’ultimo giorno di Pompei» con Veronesi sul podio
Lucirossastre, lapilli, colate di lava. Persino un finto terremoto creato con l’uso di polvere esplosiva… Effetti speciali iperrealistici da far tremare la platea e le vene agli spettatori che nel novembre 1825 assistettero al San Carlo di Napoli alla prima de L’ultimo giorno di Pompei, musica di Giovanni Pacini, libretto di Andrea Leone Tottola. «Un allestimento spettacolare che determinò il trionfo di quest’opera di schietta fattura neoclassica», spiega il maestro Alberto Veronesi. Ripresa per molte stagioni anche alla Scala, Vienna, Lisbona, Parigi, l’opera fu del tutto dimenticata dopo metà Ottocento, travolta dall’irruzione del Romanticismo musicale. Ripescata una sola volta nel ‘96 al Festival di Martina Franca, l’opera di Pacini torna in scena ora nel luogo che l’ha ispirata, Pompei. Stasera al Teatro Grande degli Scavi una nuova edizione in forma semiscenica, regia e proiezioni video di Stefano Costa, in buca l’Orchestra e il Coro del Pompei Festival di cui Veronesi è direttore musicale. Un evento che fa parte delle manifestazioni ideate intorno alla grande mostra «Pompei e l’Europa», che si aprirà nello stesso giorno. «Sono orgoglioso di portare la sola opera lirica scritta su Pompei a Pompei», commenta il maestro. Uno scenario che ben si addice a una storia di passioni proibite, come quella del tribuno Appio verso Ottavia, moglie del magistrato Sallustio. Ma la donna non ricambia e Appio per vendetta la accusa di adulterio invitando Sallustio a farla condannare a morte. A far giustizia ci penserà il Vesuvio. «L’opera fu un successo tale da ispirare qualche anno dopo un celebre quadro di Karl Bryullov, a sua volta fonte per il romanzo di Edward Bulwer-Lytton, da cui verranno tratti infiniti film», ricorda Veronesi. Dai tempi del muto fino al ‘59, quando Mario Bonnard e Sergio Leone diressero il peplum di cartapesta con Steve Reeves, Gli ultimi giorni di Pompei hanno davvero affascinato tutti.