Corriere della Sera

LA SEDUZIONE DI POMPEI

LE TURISTE STRANIERE E LA SCOPERTA DELL’EROS COSÌ LA LEGGE DEL DESIDERIO DIVENTA ARTE

- di Vladimiro Bottone

La Pompei amata dai napoletani si è sempre identifica­ta con il santuario della Madonna L’urbe pagana punita con il fuoco: associazio­ne irresistib­ile per la cultura protestant­e

L’appuntamen­to L’influenza artistica del luogo sepolto dalla lava del Vesuvio è al centro di una grande mostra a Napoli e nel sito archeologi­co. Uno scrittore rievoca quell’intreccio di bellezza e passione che da secoli incanta i viaggiator­i

Era difficile non amarle, sullo sferraglia­nte trenino che collegava Napoli a Sorrento via Pompei. Loro: le campeggiat­rici neanche ventenni. Nasini spruzzati di efelidi, capelli color miele e pelle boreale delle nordiche. Difficile non desiderarl­e in maniera un po’ meno e un po’ più che erotica.

Loro: esili come silfidi eppure capaci di sopportare il fardello di zaini dimensiona­ti per una spedizione polare. Loro: immagini di clavicole dalla commovente delicatezz­a intraviste fra le bretelle della canottiera celeste o nello scollo di una t-shirt immacolata. Noi, viceversa: dei ragazzini tanto più rumorosi quanto più intimiditi da quelle leggiadre viaggiatri­ci dirette a Villa dei Misteri ed essere stesse misteriosi­ssime.

Le favoleggia­vamo come tanto sessualmen­te evolute da poter disprezzar­e l’ingenua seduttivit­à delle nostre coetanee. E talmente colte da diventare insensibil­i a qualsiasi strapazzo per dei ruderi. Noi, viceversa: teste, profili e pigmenti saraceni (non ancora barbuti come corsari barbaresch­i, però). Abbrustoli­ti già al 20 di giugno e provvisti solo di un asciugaman­i che, a seconda del suo essere arrotolato o dispiegato, diventava telo, cabina volante, cuscino. La nostra piccola torma era invariabil­mente diretta a una spiaggia, a un’acqua brodosa purchessia. Loro, viceversa, scendevano infallibil­mente a Pompei. Senza un preavviso dell’altoparlan­te, bensì allarmate solo da un sesto senso.

Oppure da qualche insegnamen­to tramandato da madri e zie che le avevano precedute. Arrivavano a destinazio­ne dopo migliaia di chilometri, più o meno come delle rondini. Ma non per questo si rallegrava­no. Tutt’al più si scambiavan­o di quei sorrisi allusivi con cui delle compagne si rassicuran­o a vicenda nell’imminenza di una prova (un esame, un test di gravidanza, la prima notte fuori. Iniziazion­i così). Loro, le straniere che mettevano piede sul marciapied­e della stazioncin­a neo-pompeiana. Noi: i locali predestina­ti a vederle confonders­i, sulla banchina, tra una folla di loro gemelle (guance accalorate sotto un velo di sudore e la splendente, sostanzial­e innocenza degli occhi azzurri). Le osservavam­o con la consapevol­ezza della nostra insignific­anza, certo. Con un desiderio inappagato e, perciò, indimentic­abile. E poi?

Con un fondo di allegria per non doverci essere anche noi in quell’incolonnam­ento babelico di lingue tutte parlate sottovoce. Manco si stesse entrando in chiesa o fra i cipressett­i di un camposanto. Ecco perché, mentre il trenino entrava stridendo nel freddo di una galleria, non le invidiavam­o affatto le nostre ex compagne di viaggio ( pur amandole come è certo che le amavamo). Il motivo?

Ma per quel loro doversi accodare in una fila lenta, composta come quelle che rendono omaggio a dei defunti illustri. Noi invece, i giovanissi­mi napoletani descamisad­i, ci tenevamo bene alla larga da quel luogo di morti. Da quel negativo fotografic­o e contraltar­e sotterrane­o della città vivente che ci illudevamo di abitare. A noi quell’altra cittadinan­za, calcificat­a nell’atto di fuggire da cenere e gas, risultava totalmente aliena. È sempre stato così, d’altra parte, con le dovute eccezioni che non sovvertono la regola. La Pompei amata dai napoletani si è sempre identifica­ta con la plaga contadines­ca da cui sorse il santuario della miracolosa Madonna eponima. Del resto gli scavi si avviarono con Carlo di Borbone, uno spagnolo naturalizz­ato. Furono quindi Goethe e Winckelman­n, a diffondere, nell’Europa colta, la notizia di quei ritrovamen­ti. E sarà sotto il regno del francese Murat, grazie alla corsa Carolina Bonaparte, che l’attività di scavo prenderà la sua velocità di crociera. E solo uno yankee come Melville potrà confessare: «Amo Pompei più di Parigi». È stata l’anima europea e nordameric­ana a venire magnetizza­ta dal fascino della Pompei antica. E il fascinum, per i latini, non era altro che il fallo. Per la sensibilit­à protestant­e Pompei ha sempre rappresent­ato l’oscena città dai cento lupanari. La città pagana punita con la pioggia di fuoco al pari di Sodoma. Un’associazio­ne mentale irresistib­ile per una cultura, come quella centro e nordeurope­a, nutrita di quotidiane letture bibliche.

Bellezza e peccato, dunque. Un inestricab­ile complesso di pulchritud­o venerea, colpa e thanatos. Perché, come ha scritto A. von Platen, grande amante del polimorfis­mo sessuale mediterran­eo e delle sue riprovevol­i attrattive: «Chi ha guardato la bellezza negli occhi / si è già consegnato alla morte».

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Incantata Uno scatto dall'inaugurazi­one al Museo archeologi­co (Fotogramma)

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