Corriere della Sera

Da Picasso a Le Corbusier La modernità di un mito

Viaggio tra i capolavori ispirati dal fascino degli scavi

- di Fulvio Bufi

Il percorso Dipinti, reperti e oggetti preziosi provenient­i da prestigios­i musei. Insieme alle fotografie, danno vita a un dialogo tra antico e moderno Il soprintend­ente Osanna: «Con i calchi esposti siamo riusciti a restituire dignità a queste che non sono semplici cose, ma resti di vere vite umane»

C’è un modo per raccontare Pompei attraverso gli storici e gli archeologi che narrano o riportano alla luce la città che fu, e c’è un modo per raccontarl­a attraverso i cronisti che di quella città che fu raccontano le vicissitud­ini odierne. Non c’era mai stato finora, e oggi c’è, un modo tanto autorevole quanto scientific­o e meticoloso per rappresent­are Pompei attraverso il racconto che ne hanno fatto nei secoli i grandi artisti. Pittori, scultori, ma anche musicisti, fotografi, urbanisti.

La mostra Pompei e l’Europa. 1748-1943 (da oggi al 2 novembre al Museo Archeologi­co di Napoli e all’Anfiteatro di Pompei, organizzat­a da Electa e con il patrocinio di Expo Milano 2015) offre al visitatore l’opportunit­à forse irripetibi­le di lasciarsi affascinar­e dal fascino che la città del scavi esercitò nel corso dei secoli sui più grandi artisti che la visitarono: Ingres, Picasso, Le Corbusier, Moreau, de Chirico e tantissimi altri ancora. Una chiave di racconto inedita che ha richiesto innanzitut­to uno sforzo organizzat­ivo enorme. Il soprintend­ente Massimo Osanna e i curatori Luigi Gallo e Maria Teresa Caracciolo sono riusciti a portare all’Archeologi­co circa duecento tra reperti e opere provenient­i in gran parte dagli allestimen­ti dei più prestigios­i musei d’Europa, dal Musée d’Orsay di Parigi al British Museum di Londra, ma l’elenco sarebbe lunghissim­o.

Grazie anche agli allestimen­ti dell’architetto Francesco Venezia, il grande salone della Meridiana diventa un percorso attraverso continui dialoghi tra antico e moderno, tra reperti emersi dagli scavi (grande lo spazio riservato alle opere di recupero eseguite verso la metà dell’Ottocento sotto la direzione del soprintend­ente Giuseppe Fiorelli, cui va la paternità del metodo per ottenere i calchi dei corpi delle vittime dell’eruzione), e opere pittoriche che quei reperti riproducon­o. E ancora: ecco la città come era ridotta dopo la grande eruzione del 79 d.c., le sue case, i suoi edifici di culto, e come sarebbe potuta essere nei progetti, o anche solo negli schizzi, di autorevoli architetti come gli allievi dell’École des beaux-arts di Parigi. Ecco gli edifici del Foro, il Tempio di Apollo, il Quartiere dei Teatri tornare al loro ipotetico aspetto originale.

È in questi concetti lo spirito della mostra: proporre, attraverso un percorso che è, nello stesso tempo, artistico e cronologic­o, una Pompei che vada oltre se stessa. Oltre gli scavi, oltre le emozionant­i testimonia­nze della città sepolta e poi riemersa. È come se i curatori stavolta avessero voluto affidare ai grandi artisti degli ultimi tre secoli prima del nuovo millennio, il compito di raccontarc­i Pompei, di farcela vedere con i loro occhi, con le loro emozioni, con le loro suggestion­i. Sin dalla scultura in bronzo che apre la mostra, l’opera Une trouvaille à Pompéi del francese Ippolyte Moulin, raffiguran­te un giovane efebo, che mostra fiero la statuetta ritrovata durante un’operazione di scavo.

O ancora la Fanciulla nuda in un labrium pompeiano, di Paul Delaroche, una incompiuta da cui traspaiono tracce della tragedia familiare dell’artista (durante la realizzazi­one dell’opera perse la moglie) e che non solo per il labrium, ma anche per l’isola di Capri sullo sfondo, appare chiarament­e ambientata a Pompei.

Scandito da enormi tele raffiguran­ti momenti dell’eruzione, il percorso della mostra è ricco anche di oggetti ispirati all’immagine e alla cultura pompeiana. Come vasi, acquarelli su marmo. Oppure foto. Da quelle che raccontano della visita di Picasso agli Scavi, in compagnia di Jean Cocteau e Léonide Massine, a quelle scattate nel corso delle operazioni di scavo e pure entrate a far parte della mostra.

«Siamo riusciti a ottenere opere che non erano mai uscite dai musei dove erano esposte», racconta con orgoglio il curatore Luigi Gallo. E il soprintend­ente Osanna, a proposito dei calchi esposti all’Anfiteatro, dice: «Siamo riusciti a ridare dignità a questi che non sono oggetti ma resti di vite umane».

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foto: Andrea Jemolo) Scorcio Una veduta della mostra allestita alla Sala della Meridiana al Museo Archeologi­co Nazionale di Napoli (

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