Narni, indagato monsignor Paglia
I pm di Terni: il Comune ha svenduto e aggirato le procedure favorendo l’allora vescovo
Il castello di Narni resort per pellegrini. Ma l’operazione, con i soldi della diocesi, sarebbe servita per l’arricchimento di politici e prelati. Tra loro, monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia.
Il castello di San Girolamo di Narni doveva diventare un lussuoso resort con campi sportivi e piscina dove ospitare i pellegrini. E invece quell’operazione immobiliare effettuata quattro anni fa con il denaro della diocesi di Terni sarebbe stata il paravento per l’arricchimento personale di politici e prelati. Tra loro, monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia e padre spirituale della comunità di Sant’Egidio. Ma anche il vicario episcopale della diocesi Francesco De Santis, il presidente dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero Giampaolo Cianchetta, l’economo della diocesi Paolo Zappelli, il sindaco di Narni Stefano Bigaroni e alcuni funzionari del Comune.
Si chiude con la contestazione di reati gravi che vanno dall’associazione per delinquere alla turbativa d’asta, dalla truffa all’appropriazione indebita l’inchiesta guidata dal pubblico ministero di Terni Elisabetta Massimi sulla cessione del complesso nella campagna umbra.
Mentre rimane in piedi l’indagine sul «buco» da milioni di euro nei bilanci della diocesi, il magistrato invia l’avviso di conclusione delle indagini che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. E contesta agli indagati l’esito delle verifiche economiche e patrimoniali effettuate dagli investigatori del Nucleo valutario della Guardia di Finanza coordinati dal generale Giuseppe Bottillo e della Questura di Terni guidata da Carmine Belfiore.
Il maniero di proprietà dell’amministrazione locale valeva circa 6 milioni di euro, invece nel 2010 fu venduto alla «Imi immobiliare srl» per poco più di un milione e 700 mila euro nonostante alla gara avesse partecipato un gruppo di imprese guidate dalla «Idsc» che aveva i requisiti e soprattutto era disponibile a versare la cifra congrua.
È stata proprio questa differenza a insospettire gli inquirenti. Si è così scoperto che amministratore unico della società era Zappelli che per il pagamento del complesso avrebbe attinto a due conti della Diocesi. Non solo. Poiché si trattava di un bene pubblico, il Comune avrebbe dovuto effettuare una serie di adempimenti e invece la procedura sarebbe stata aggirata per favorire il monsignore e i suoi collaboratori.
« Gli indagati — scrive il pubblico ministero — hanno turbato la libertà degli incanti attraverso mezzi fraudolenti. Il sindaco Bigaroni ha comunicato al vescovo Paglia l’intenzione di vendere il castello, prima della pubblicazione dell’elenco delle aree del Comune poste in vendita; ha previsto nel bando di gara un prezzo — 1 milione e 760 mila euro — largamente inferiore al valore reale pari a 5 milione 600 mila euro; ha omesso la stipula dell’aggiudicazione provvisoria; ha stipulato il preliminare di vendita e il rogito definitivo tra Comune e “Imi srl” totalmente priva dei requisiti previsti dal bando per l’ammissione e l’aggiudicazione anziché con l’Ati con capofila la “Idsc” che aveva partecipato alla gara e non ha mai formalizzato il recesso; ha indotto la Giunta con una delibera del 12 ottobre 2011 a prorogare il termine per il pagamento del prezzo; ha concesso proroghe per il pagamento».
Nel provvedimento c’è anche un’accusa specifica a monsignor Paglia perché secondo il magistrato «il 9 novembre 2012 ha autorizzato il provicario De Santis a stipulare un preliminare di cessione di quote sociali con acquisto da parte della Diocesi dell’84 per cento e da parte dell’ente seminario Vescovile del 15 per cento del capitale sociale dell’”Imi srl” nonché ad assumere l’obbligazione di versare alla “Imi srl” 900 mila euro per l’Idcs e un milione per l’ente seminario a titolo di finanziamento». Operazioni per «indurre in errore il consiglio comunale di Narni circa la regolarità della compravendita e procurare un ingiusto profitto a Zappelli e Galletti».