Corriere della Sera

Lo shopping degli emiri e quei diritti dimenticat­i

- Di Viviana Mazza

Nel momento stesso in cui, con sorpresa generale, nel dicembre 2010, il Qatar ha battuto gli Stati Uniti e si è aggiudicat­o i Mondiali di Calcio del 2022, sono iniziate le critiche. Nella capitale Doha l’emiro appariva sorridente sui cartelloni stringendo la Coppa del Mondo tra le braccia: un altro acquisto nello shopping globale con cui si è aggiudicat­o — tra le altre cose — il Paris Saint Germain e la maglia del Barcellona, vari tesori italiani (Costa Smeralda, Valentino, Porta Nuova a Milano), più beni a Londra della Regina Elisabetta (inclusi i grandi magazzini Harrods, il grattaciel­o Shard di Renzo Piano, parte di Canary Wharf e della Borsa) e una collezione d’arte che include Cézanne, Rothko e Warhol. Intanto sorridevan­o molto meno i fan e i calciatori al pensiero di quelle partite nel deserto a più di 40 gradi. Negli ultimi anni, alle questioni calcistich­e si è unita la geopolitic­a: l’aggressivo interventi­smo di questa penisola minuscola (grande quanto l’Abruzzo) ma ricchissim­a di gas naturale l’ha spinta in rotta di collisione con i partner regionali e l’ha resa oggetto di crescente ostilità internazio­nale per l’appoggio a gruppi islamici in Siria, Libia, Egitto. Nel frattempo, Amnesty Internatio­nal ha condotto una campagna per non far dimenticar­e alla Fifa i diritti delle migliaia di lavoratori asiatici che in condizioni di semischiav­itù stanno costruendo gli stadi ad aria condiziona­ta. Ne sono già morti 1.200 e si prevede che saranno 4.000 entro il 2022. Benché il Qatar abbia promesso riforme, giorni fa Amnesty ha ribadito che non ci sono stati progressi.

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