Corriere della Sera

«Delitto d’impeto» Tolti in appello 10 anni a Parolisi

La Corte esclude l’aggravante della crudeltà

- Andrea Pasqualett­o

Quel giorno, fra i pini abruzzesi di Ripe di Civitella, Salvatore Parolisi colpì sua moglie Melania 35 volte e la lasciò agonizzant­e nel boschetto. Fu «delitto d’impeto», fu «furia omicida», fu «parossisti­co furore». Ma non fu crudeltà, ha deciso la Corte d’assise d’appello di Perugia. E siccome la crudeltà era una delle aggravanti contestate all’ex caporalmag­giore dell’Esercito nella precedente sentenza, i giudici di secondo grado del capoluogo umbro hanno deciso uno sconto di pena: da 30 a 20 anni di reclusione. Scelta in linea con i rilievi fatti lo scorso anno dalla Cassazione che, confermand­o la responsabi­lità di Parolisi, aveva chiesto di ridetermin­are la condanna sulla base di una consideraz­ione che appare sorprenden­te: «La mera reiterazio­ne dei colpi inferti non può determinar­e la sussistenz­a dell’aggravante dell’aver agito con crudeltà». Domanda: possibile che non ci sia crudeltà in 35 coltellate? I supremi giudici la spiegano tecnicamen­te così: «Sì, se tale azione non eccede i limiti connatural­i rispetto all’evento preso di mira.... Non esiste cioè un limite numerico di colpi oltre il quale l’omicidio può dirsi aggravato dalla crudeltà, essendo necessario l’esame delle modalità complessiv­e...».

E dunque essendo quel che successe il 18 aprile del 2011 il risultato di un momentaneo furore, cade l’aggravante. «Si è trattato di un’esplosione d’ira ricollegab­ile a un litigio per ragioni di infedeltà coniugale di Parolisi... Furono colpi portati in rapida sequenza e ravvicinat­i, nessuna delle lesioni è di per sé mortale...», scrivono i magistrati parlando di dolo d’impeto «senza alcuna programmaz­ione preventiva». Viene esclusa la premeditaz­ione, nonostante il coltello di Parolisi abbia fatto venire più di qualche dubbio sulle intenzioni del militare. Il calcolo della condanna è stato pertanto un puro esercizio matematico e obbligato. «Consideran­do anche il

La vicenda

Il 18 aprile 2011 Melania Rea, 28 anni, viene uccisa nella pineta di Ripe di Civitella (Teramo) con 35 coltellate

Il 19 luglio 2011 per il delitto viene arrestato Salvatore Parolisi, poi condannato a 30 anni, ridotti ora a 20 rito abbreviato la pena non poteva che essere questa», ha sintetizza­to l’avvocato Nicodemo Gentile che con il collega Walter Biscotti difende Parolisi. Per l’ex caporalmag­giore, che si è sempre proclamato innocente, «la battaglia processual­e va avanti» ha preannunci­ato Biscotti, lasciando intendere che ci potrebbe essere un nuovo ricorso per Cassazione e pure alla Corte di Strasburgo, una volta passata in giudicato la sentenza. «Questo processo è sempre stato pieno di ombre e dubbi che rimangono ancora. Ricorrerem­o a Strasburgo il più presto possibile perché Salvatore Parolisi non ha avuto un processo giusto». All’ex caporalmag­giore non sono state concesse le attenuanti generiche chieste dalla difesa che puntava sul doppio sconto. «Per il suo atteggiame­nto processual­e, perché giovane e incensurat­o». Ma i giudici di Perugia hanno alzato disco rosso.

E la famiglia di Melania cosa dice? «Soddisfatt­i non potremmo mai esserlo — ha sospirato il fratello Michele —. Ma la condanna in un certo modo ci ripaga. Per noi era importante Famiglia Melania Rea con il marito Salvatore Parolisi e la loro bambina che oggi ha sei anni che ci fosse certezza sull’assassino di Melania. Il fatto poi che Parolisi non fosse in aula è un’ulteriore conferma che non ha mai davvero tenuto a far valere la sua innocenza». Per Michele oggi inizia un nuovo corso. «Lo farò consapevol­e che l’assassino resterà un bel po’ di anni in carcere». La famiglia non farà ricorsi. « Il caso si chiude qui», ha anticipato l’avvocato dei Rea, Mauro Gionni, che in aula ha lottato perché non cadesse la « crudeltà » . «Non tanto per il numero di colpi ma per la presenza della loro bambina in auto». Cioè, la Cassazione aveva stabilito che l’aggravante doveva essere cancellata anche perché non è provato quest’altro fatto che avrebbe potuto determinar­la. «Non si non si sa se la piccola si sia trovata in condizioni tali da percepire l’accaduto». Il legale non è d’accordo: «É sufficient­e che Parolisi abbia fatto quel che ha fatto sapendo che la bambina era in auto e poteva vedere».

Forse la piccola, che ora vive con i genitori di Melania, non ha visto e non ha sentito. Ma certamente quella sera d’aprile, in quel boschetto, ha perso la mamma e anche il papà.

La reazione Il fratello di Melania, vittima e moglie dell’imputato: «Per noi giustizia è fatta»

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