Corriere della Sera

CY TWOMBLY, PARADISO VENEZIANO

- di Sebastiano Grasso

Il poeta russo Iosif Brodskij (1940-1996), Nobel 1987, diceva che Venezia era il Paradiso in Terra e che avrebbe voluto essere sepolto — e così è stato — nell’isola di San Michele, dove ci sono anche Sergej Djagilev e Igor Stravinski­j. E Paradiso si intitola la mostra di Cy Twombly (1928-2011) aperta al museo Ca’ Pesaro di Venezia (sino al 13 settembre), città in cui l’artista americano era di casa, essendo stato presente (anche se, talvolta, con una sola opera), in cinque edizioni della Biennale (’64, ’78, ’80, ’88 e ‘93) e avendo vinto, nel 2001, il «Leone d’oro». Con la differenza, rispetto a Brodskij, che il suo Paradiso in Terra era l’arte.

Esposti, di Twombly, circa 40 lavori dal 1951 al 2011, anno della morte, avvenuta a Roma, dove arriva per la prima volta nel 1959, portato da Toti Scialoja. Cy si innamora dell’Italia e vi trascorre la maggior parte della vita, creando dei lavori come, a Spelonga i Poems to the Sea, ispiratigl­i da Mallarmé.

Il catalogo di Ca’ Foscari — nella cui biografia Twombly risulta ancora vivo — ha un lungo saggio di Philip Larratt-Smith. Che, fra l’altro, spiega: «La sessualità è la componente predominan­te dell’opera (ma non l’unica), e sembra giacere accanto al cuore della sua patologica peculiarit­à». Altrove, a proposito dell’ «astrazione gestuale di Twombly», invece, si legge che l’artista «ha realizzato disegni al buio, ha dipinto con la mano sinistra, ha aumentato l’estensione del pennello, fissandolo a lunghi bastoni, come strategia cosciente per dimenticar­e la formazione artistica e perdere il controllo del mezzo tecnico» ( sic!).

Dipinti, disegni, collage, pastelli, acrilici ricreano a Venezia il mondo magico di Twombly, con una fortissima valenza romantico-simbolista, che, per molti versi, ricorda la malinconia di Turner e Monet, anche se il suo è un linguaggio modernissi­mo. Valga per tutti l’esempio delle scritte (geroglific­i) o linee sfuocate, inserite nei quadri. Operazione effettuata dopo il 1953, quando Cy lascia l’esercito americano, dove decifrava e creava codici e, non si sa quando inconsciam­ente, trasferisc­e sulla tavolozza il mondo segnico acquisito.

Questa di Twombly è una delle mostre più convincent­i, fra le «laterali» della Biennale 2015. Biennale che con l’assenza di Emilio Vedova — e delle sue braccia, piccole pertiche che si staccavano dalla pertica più grande rappresent­ata dal suo corpo lungo e magrissimo — sembra un’altra cosa. Senza Vedova, ma anche senza Cencio Eulisse, il pittore e scultore, oggi quasi ottantenne, assistente di Vedova all’Accademia di Salisburgo. Ogni qualvolta Vedova era presente in Biennale, si poteva star certi di qualche scherzo di Eulisse. Scherzi che erano una forma d’amore nei riguardi del maestro, ma anche di sottile contestazi­one. L’ultimo? Aver portato al centro del Padiglione Italia tre bidoni blu pieni di lattine colorate, attorno ai quali i visitatori giravano in cerca di un cartellino col nome dell’autore dell’opera d’arte «alla Claes Oldenburg». Solo una settimana dopo, qualcuno se ne accorse.

Dopo la morte di Vedova, sembrava che Eulisse si fosse acquietato. In questi giorni, invece, qualcuno ha pensato a lui. Ricordate la passerella della Fondazione Prada a Calle della Regina che s’è staccata e una decina di elegantiss­imi «imbucati» finiti in acqua? C’entra o non c’entra Eulisse, che, a qualche centinaio di metri, se la rideva? E Twombly come avrebbe «tratteggia­to» l’episodio? Certamente con una piccola onda colorata, dalla quale emergevano braccia e polsini d’oro.

sgrasso@corriere.it

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