Storico «Figaro» ma delude il gesto di Böer
Come tutti sanno, Riccardo Muti ha rinunciato a dirigere al Teatro dell’Opera di Roma sebbene inspiegabilmente conservi il titolo di direttore a vita di tale teatro. Nella presente stagione s’era assegnato due spettacoli: l’Aida, nella quale è stato degnamente sostituito da Jader Bignamini; e Le nozze di Figaro, andate in scena senza di lui giovedì 21. E non solo Muti in Mozart, tali sono l’eleganza e la profondità di veduta da lui raggiunte, è insostituibile da parte di chicchessia: nella fattispecie sul podio è un Roland Böer che dirige in modo fragoroso, dopo una concertazione superficiale (diciamo pure una non-concertazione) e sul podio assume atteggiamenti da saltimbanco; per giunta vuole personalmente accompagnare i Recitativi e lo fa con incredibili pose da Paderewski.
Queste Nozze vanno ricordate in primo luogo perché approda a Roma lo storico allestimento della Scala dovuto a Giorgio Strehler per la regia, Ezio Frigerio per le scene e Franca Squarciapino per i costumi: ripreso da Marina Bianchi con una tale bravura da farci desiderare che la giovane regista possa essere vista alla prova anche per un lavoro interamente a lei imputabile. Quest’allestimento è uno dei miracoli della storia del teatro novecentesco e il trascorrer del tempo mette solo in rilievo la siderale distanza che lo separa da quasi tutte le produzioni operistiche, specie quelle ultime che i giornali si affannano a lodare. Non c’è particolare che non sia perfetto; la psicologia, la commedia, l’intrigo, la riflessione sulla natura umana, infine la metafisica: c’è tutto.
Dico la metafisica e naturalmente si parla della Contessa, questo personaggio modellato da Mozart con una delicatezza unica il quale, sempre esprimendosi nelle forme del Bello Ideale, attraverso la conoscenza del dolore giunge al perdono: che da lei pronunciato assume un valore religioso. Qui va cercato il segreto della religione di Mozart, non nei simboli massonici del Flauto magico come fanno i cretini. E la Contessa di quest’allestimento è superiore a quelle che hanno cantato le varie volte alla Scala: Eleonora Buratto, la giovane mantovana capace di passare dal Don Pasquale alla Turandot quale Liù per giungere a tale ruolo protagonistico, possiede una bellezza di timbro, un’eleganza di fraseggio, una profondità musicale, una intelligenza nella pronuncia dei Recitativi, che ne fanno una Contessa degna delle grandi interpreti storiche del ruolo.
La compagnia mostra altre punte di eccellenza salvo il Figaro superficiale e affrettato di Markus Werba (non si può fare Papageno in tutti i ruoli) e il Cherubino di Michaela Selinger, al di sotto di ogni commento. Il Conte è il giovanissimo Alessandro Luongo, che fraseggia i Recitativi ammirevolmente e ha voce ampia e sonora. Susanna è l’incantevole Rosa Feola, cantante e attrice peritissima. Don Bartolo e Don Basilio sono rispettivamente una colonna del mondo lirico, Carlo Lepore, e una giovanissima promessa, Matteo Falcier: ascoltarli vale da solo il viaggio. Benissimo va detto di Isabel De Paoli, Marcellina, e Damiana Mizzi, Barbarina. Otto repliche.
Le voci Convincenti la Susanna di Rosa Feola e il Conte di Luongo