Quel tempo ritrovato del passato in digitale
In un eterno conflitto economico, la Rete talvolta sottrae, talvolta somma. Ma se l’oggetto è culturale e artistico la forza della digitalizzazione sembra più aggiungere che sostituire. È il caso del Teatro Stabile di Torino che ha festeggiato i 60 anni mettendo su web tutta la documentazione degli spettacoli prodotti dal teatro di via Rossini dal 1955 a oggi: 573. Gli originali sono per pochi, come spesso le opere d’arte nei musei. La rete in questo caso alimenta la condivisione di contenuti culturali, permette agli appassionati di entrare nell’archivio magari alla ricerca di quello spettacolo seguito personalmente negli anni Sessanta. La memoria informatica soffre di meccanismi proustiani esattamente come le madeleine di Alla ricerca del tempo perduto. Può essere un luogo di difesa, un fortino dei ricordi. Peraltro le operazioni come quella del Teatro Stabile di Torino sono salvifiche per la Rete, alla continua ricerca di contenuti di qualità contro la banalizzazione delle chiacchiere continue, della condivisione del tempo, minuto per minuto, secondo per secondo anche nella sua vacuità. L’arte e la cultura per sopravvivere hanno bisogno di un modello di business esattamente come tutte le altre industrie (la digitalizzazione costa, dobbiamo mettercelo in testa). Ma qualcosa si sta muovendo, grazie alla tecnologia: per la bella mostra di Leonardo da Vinci a Milano Applix — start up italiana famosa per essere stata citata da Steve Jobs per una app che permetteva di visitare il Foro romano — ha sviluppato un’applicazione che offre una visitina in 3 dimensioni con gli Oculus. Non solo nella mostra ma anche nei luoghi del Genio. La visita rimane il primo obiettivo di qualunque essere umano sano di mente. Ma l’idea del catalogo «immersivo» per chi proprio non può è un esempio di somma, non di sottrazione.
Colm Tóibín è uno dei più importanti scrittori irlandesi viventi. Sabato compirà sessant’anni, ma lo sguardo e le parole hanno una freschezza che ricorda la fragilità di Oscar Wilde o la spontaneità di Jonathan Swift, per restare alla sua Irlanda.
Terra «cattolicissima» ormai solo sulla carta: il 22 maggio scorso un voto popolare schiacciante (62,1%) ha detto sì al referendum sulle nozze gay e l’Associazione dei preti cattolici ha ammesso che solo il 35% degli irlandesi va a messa almeno una volta alla settimana.
E il romanzo di Tóibín, Il testamento di Maria (Bompiani), diventa uno spettacolo che andrà in scena allo Stabile di Torino (con Michela Cescon per la regia di Marco Tullio Giordana) nel novembre prossimo. La storia della Madonna vista in un futuro ipotetico dopo il sacrificio di Cristo: è una donna come tante altre, che ha sofferto per l’allontanamento del figlio e per il disprezzo riservato al marito, Giuseppe. Ma che non si arrende. Com’è la «sua» Maria? «Intelligente. Arrabbiata. Traumatizzata. Ma, ad un tratto, senza più paura».
Una Vergine alle prese con le delusioni di una madre. Come nasce questa visione?
«Curiosamente, in Italia. Ho visto, nell’ordine, l’Assunta di Tiziano ai Frari di Venezia e, dopo, la Crocifissione di Tintoretto a San Rocco. Prima il fasto dell’assunzione, gli angeli in gloria, la luce; poi la crudezza del popolo che fa parlare la pancia. Due elementi che convivono nella vicenda cristiana e così ho dato voce a una donna segnata dal suo destino». Lei è cattolico? «Non praticante. Da bambino facevo il chierichetto e, ad attrarmi, era la bellezza dell’apparato simbolico cattolico: calici, canti, luci, arte. Ecco perché, crescendo, mi sono appassionato al lato umano di queste figure, Maria prima di tutte».
Ma lei è stato in prima linea nel difendere il sì alle nozze
Colm Tóibín «La vittoria delle nozze gay in Irlanda è segno di un nuovo modo di leggere i sentimenti»