Corriere della Sera

Chi vince e chi perde

L’incognita del secondo posto e dell’alternanza. Per il premier il primo vero esame come uomo di governo

- Di Antonio Polito

Lavera domanda di queste Regionali è: chi arriverà secondo, dimostrand­o così di poter arrivare al ballottagg­io alle prossime elezioni con l’Italicum?

Dice Matteo Renzi che quello di oggi non è un test politico sul governo. Lo diceva anche per le Europee, ma poi le vinse così bene che ha cambiato idea e ci ha campato sopra per un anno. Se stasera si aggiudiche­rà il match sei a uno, come è probabile, accadrà lo stesso: userà il successo come un test politico.

Ciò che in realtà il premier intende dire è che se anche le cose andassero male, se pure perdesse la Liguria o la Campania, il governo è al riparo, e tutto andrebbe avanti così com’è, per stato di necessità. Questo è infatti un Parlamento senza alternativ­e che non siano le elezioni. Dunque il discorso sugli effetti generali del voto regionale potrebbe chiudersi qui: non ce ne saranno.

E però la politica non è solo governo e non è solo oggi. Ci sono scenari più di fondo che queste elezioni possono aprire. Eccone alcuni.

La fine dell’età dell’innocenza Per la prima volta il premier si presenta agli elettori come un uomo di governo, che si porta dunque sulle spalle il peso, talvolta impopolare, di decisioni che hanno colpito interessi di categoria, ma senza portare ancora l’alloro di chi ha sconfitto la crisi e ha dato lavoro ai giovani. Insegnanti, pensionati e dipendenti pubblici, veri e propri pilastri della coalizione sociale della sinistra, specialmen­te in regioni anziane come la Liguria o stataliste come la Campania, potrebbero cogliere l’occasione per «avvertire» il governo.

Ma la vera macchia sul cavallo bianco di Renzi è il caso De Luca. Lasciando che l’ex sindaco di Salerno si candidasse, il premier ha sfidato la legge. E non una legge qualsiasi, ma quella con cui il suo partito fece fuori dal Senato Silvio Berlusconi (fu il giovane Renzi a pronunciar­e, in quella occasione, il suo «game over»). E sfidare la legge, magari sperando poi di aggirarla o aggiustarl­a, non è esattament­e una prova da «statista». Questa vicenda avrà un suo costo. Forse non tanto in Campania, ma di certo nell’elettorato più «moralista» del Pd al Nord: tra l’elogio di Giuliano Ferrara, che saluta in De Luca un nuovo campione di resistenza alle leggi, e l’oltraggio di Roberto Saviano, cui invece ricorda Gomorra, preferiran­no il secondo.

Sette in corsa, nessun rottamato Se lo statista soffre, anche il rottamator­e non se la passa tanto bene. I sette candidati del Pd alla guida delle sette Regioni al voto erano tutti, nessuno escluso, dalla parte di Bersani e contro Renzi alle primarie. Alcuni sono tuttora molto indigesti al leader: da Rossi, suo nemico storico in Toscana, a Emiliano, platealmen­te evitato in campagna elettorale. Il giovane rottamator­e stavolta ha scelto l’usato sicuro, non ha avuto la forza o il coraggio di aprire guerre locali, e ora si ritrova senza una classe dirigente alternativ­a. Ha scelto l’appeasemen­t e ha avuto in cambio un forte appannamen­to dell’immagine del suo PdR (Partito di Renzi), non più così smagliante come ai tempi del 40 per cento delle Europee.

I 5 Stelle e la medaglia d’argento Forse la vera domanda di queste Regionali è: chi arriverà secondo. Chi dimostrerà di poter arrivare al ballottagg­io alle prossime elezioni con l’Italicum. Stanotte sapremo se il potenziale sfidante sarà il nuovo Movimento 5 Stelle visto in questa campagna elettorale, depurato da Grillo e affidato alla troika. Renzi sedusse l’intero sistema politico promettend­o un anno e mezzo fa di prosciugar­e il mare dell’antipoliti­ca. Ma se le Regionali confermera­nno le percentual­i pentastell­ate più o meno dov’erano un anno e mezzo fa, si potrebbe parlare di missione fallita. Il bipolarism­o italiano, complice il disfacimen­to dell’armata berlusconi­ana, si configurer­ebbe stabilment­e come una gara tra un partito piglia tutto e un partito contro tutto. Il rischio è il ritorno a una democrazia bloccata, senza alternanza possibile. Come ai tempi del Pci, che voleva fuoriuscir­e dall’Occidente, con i Cinque Stelle che vogliono fuoriuscir­e dall’Europa. Il risultato dei post-grillini va tenuto d’occhio stasera, anche perché le Regionali sono un territorio per loro difficile: ci darà dunque un trend nazionale.

La freccia del sorpasso sulla Venezia-Genova Tutti predicono un successo di Salvini. Ma quale? Quello che in Veneto va con la vecchia Lega di Zaia? Quello che in Liguria va con l’odiato Alfano e il moderato Toti? O quello che nelle Marche va da solo contro una specie di Pdl a guida centrista? Il paradosso del centrodest­ra è tale che se anche Salvini prenderà voti in alleanza con Berlusconi, ogni voto in più che prenderà potrà usarlo contro Berlusconi: il possibile sorpasso gli consentire­bbe di chiedere ufficialme­nte la guida di nuovo centrodest­ra, che si incamminer­ebbe così sulla strada di uno scenario «polacco». C’è a chi piace.

Lo stadio vuoto della politica Ma ancor più rilevante per il galleggiam­ento del sistema sarà il livello cui salirà l’astensioni­smo. In più di una Regione si potrebbe addirittur­a arrivare a metà degli elettori. Se non a percentual­i emiliane, nei dintorni. Sono i dati che si commentano compunti negli studi televisivi prima che arrivino quelli dei partiti, e poi si dimentican­o. Sbagliato. L’astensioni­smo è una talpa che scava il terreno sotto i piedi delle istituzion­i, anni di lavoro silenzioso e poi all’improvviso crolla tutto. L’istituto regionale, per esempio, appare crollato. Mai così screditato, mai così impresenta­bile, mai così assente in una campagna elettorale regionale.

L’alleanza intermitte­nte nel centrodest­ra vissuta come una sfida di Salvini a Berlusconi Nel centrosini­stra il paradosso dei candidati che votarono tutti contro Renzi alle primarie

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