Milan, buona anche l’ultima Meno amaro l’addio di Inzaghi
Atalanta battuta, Pippo lascia ma non s’arrende: «La base c’è, si può ripartire»
Pippo Inzaghi scende qui: ultima stazione Bergamo, da dove partì per entrare nel calcio che conta e, seduto accanto al finestrino, vide passare il mondo inchinato ai suoi piedi di goleador. Ora da allenatore viaggia leggero, meno punti in classifica (52) di quanti questa rosa avrebbe potuto conquistare, un momentaneo ottavo posto (alla pari con l’Inter), ma un piccolo presente per congedarsi dalla squadra della sua vita: una vittoria con l’Atalanta (la terza in quattro partite), dopo aver fatto vedere in un tempo tutta la fragilità difensiva di cui questa squadra è capace (gol di Baselli, che forse avrà un futuro al Milan, dopo un’occasione di Denis sulla traversa e un’altra ancora di Baselli) e aver però ribaltato il risultato con gli ex Pazzini (rigore) e Bonaventura (il primo esulta, il secondo no). Nella ripresa poi è bastato controllare, prima di chiudere con la doppietta di Jack (davvero uno dei migliori della stagione, 7 gol e almeno tre ruoli interpretati) e il debutto di due «Primavera», Calabria e Di Molfetta, come da richiesta fin qui «inevasa», per dirla con Silvio Berlusconi.
Il Milan prosegue da solo, anche se non è chiaro verso che direzione, tra l’attesa del responso del totem Ancelotti e le tentazioni presidenziali per il terzo esordiente di fila, Christian Brocchi, perché la linearità non è una caratteristica tenuta in grande considerazione in quel di Arcore. Pippo però non ci sarà. Non voleranno stracci e ci si lascerà da persone adulte (che sbagliano da professionisti) e si sobbarcheranno pure lo sforzo di restare amici, anche se, nella testa di Inzaghi, farà una bella differenza lasciare per il maestro Carlo o per qualcun altro (figurarsi se per uno con meno esperienza di lui); intanto un’altra bandiera è stata bruciata, anche se, va detto, l’accendino spesso l’ha tenuto in mano proprio Inzaghi. E ora non c’è più tempo, anche se dopo undici mesi Pippo pensa di aver capito sulla sua pelle come si fa, anche se proprio ora sembra che sia tornata la voglia d’investire e Pippo darebbe un braccio per dimostrare cosa saprebbe fare con una rosa più forte e l’esperienza di un anno vissuto pericolosamente. «Una buona base per ripartire c’è — ha detto ieri —. Ora sappiamo dove abbiano sbagliato. La nostra pecca è stata quella di perdere un po’ di giocatori per infortuni e un po’ di certezze».
Pippo — è fatto così, e sia ben chiaro questo è un merito — ci spera ancora. Coltiva dentro di sé l’idea di giocarsi le ultime carte in un colloquio con Silvio Berlusconi — al quale comunque continua a stare simpatico —, sperando che i soldi vengano dirottati sulla rosa per essere risparmiati dall’ingaggio di un nuovo allenatore. Non succederà. La stagione è stata una via crucis, e non solo per gli infortuni che pur hanno influito; la continuità di risultati non c’è mai stata, le idee di gioco sono state poche (Berlusconi lo ha pure detto apertamente), e comunque quella migliore (43-3 e via di contropiede) a un certo punto è stata abbandonata; infine persino il gruppo (la cui unità è stata citata più volte dal tecnico come suo punto di forza) è stato attraversato da numerose turbolenze (da Cerci a Rami, da Destro a Muntari, fino al desaparecido dall’ultimo ritiro). Ma ormai non conta più. C’è solo tempo per rendere tutto il meno doloroso possibile.
La quattro giorni di Madrid di Galliani (comunque vada a finire con Ancelotti) dimostra che il Milan studia progetti nei quali non c’è spazio per Pippo. E questo è il segno più chiaro che una storia è finita.