Corriere della Sera

Non potrò più andare a Mosca Ma resto amico del popolo russo

- Di Bernard-Henri Lévy

No, non è un «onore» essere colpiti dal divieto di soggiorno a Mosca. È fonte di tristezza. Non per noi, ovviamente. Non per gli intellettu­ali, i giornalist­i, i responsabi­li politici che figurano su questa lista meschina. Ma per i russi e, quanto meno, per i democratic­i russi, gli oppositori alla guerra, i militanti del diritto e della libertà, che si vedono ancora una volta isolati, rinchiusi, privati del contatto vitale con i loro amici all’esterno del Paese, puniti. Questa «lista nera», al contrario delle apparenze, non ha come bersaglio gli occidental­i, ma i russi. Non è un problema per Dany Cohn-Bendit, KarlGeorg Wellman o me stesso, ma per i nostri amici di laggiù, per coloro dei quali noi sosteniamo, per quel che possiamo, le aspirazion­i e la causa, per i compagni di lotta, inconsolab­ili, di Boris Nemtsov, l’oppositore di Putin ucciso due mesi fa, a pochi metri dal Cremlino.

Vecchia strategia dei dittatori: isolare i loro sudditi, tagliare il cordone con il mondo esterno, asfissiarl­i. Eterna tentazione, da Breznev a Putin, dell’autoritari­smo russo: chiudere le frontiere, evitare o eliminare i testimoni imbarazzan­ti. Silenzio si picchia, si imbavaglia la stampa e le voci libere — e pazienza per i pacifisti, i tartari, i ceceni, i nuovi dissidenti perseguita­ti, gli oppositori.

Per quel che mi riguarda, niente cambierà. Amico del popolo russo ero, e resterò. Ammiratore della vera grande Russia, fiero di avere consacrato una parte della mia vita a tentare di riportare, in Occidente, le parole di Solgenitsi­n, Sakharov, Nemtsov e altri come loro, continuerò con ancora più energia. Nei giorni scorsi, la tv nazionale russa mi aveva chiesto un’intervista. Mantengo la mia disponibil­ità. A condizione, ovviamente, che il dialogo sia leale.

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