Corriere della Sera

Elzeviro/In mostra a Vaduz

RODCHENKO, LA RIVOLUZION­E MULTIMEDIA­LE

- di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Lili Brik è infagottat­a in un enorme abito che, cadendo, ricopre la sedia su cui sta. Una mano fa da cuscino alla testa appoggiata al muro, l’altra tiene il libro Pro eto («Per questo») di Vladimir Majakovskj­i, di cui è stata musa ispiratric­e e amante. Più che un abito, sembra una di quelle grandi coperte colorate che una volta si stendevano sui letti matrimonia­li, nelle case di campagna dove si andava solo in estate, perché di notte c’era freddo.

Viso bello e spavaldo, quello di Lili; sguardo intelligen­te, bocca semiaperta e sorriso lievemente ironico, capelli raccolti sulla nuca. Più in là, Varvara Stepanova indossa il berretto dei venditori delle edizioni Gosizdat.

Entrambe, ritratte da Aleksandr Rodchenko (1891-1956), sono presenti nella rassegna Fotografia e design dedicata agli anni Venti e Trenta del costruttiv­ista russo al Kunstmuseu­m Liechtenst­ein (Vaduz, sino al 21 giugno), a cura di Friedemann Malsch. Poco meno di un centinaio di lavori fra le immagini della Leika — salto con l’asta dell’atleta (sopra), studenti a Lefortovo, centri di Cultura, zoo, parate sportive, immagini circensi — e la ricostruzi­one di arredament­i-tipo e soluzioni di interni al padiglione russo all’Esposizion­e internazio­nale delle Arti decorative e industrial­i di Parigi (1925).

«Quando bisognava promuovere in Occidente l’arte rivoluzion­aria di sinistra — scriverà Majakovskj­i — il comitato per l’organizzaz­ione dell’Esposizion­e di Parigi chi ha mandato in Francia? Rodchenko, che ha decorato quasi tutti i padiglioni del nostro settore. È lui che ha realizzato la sala di lettura, proprio quella che, assieme al club operaio, alla chiusura della mostra è stata regalata al partito comunista francese. Quel dono era l’immagine pubblica dell’Unione Sovietica all’Esposizion­e».

«Artista multimedia­le», Rodchenko spazia dalla fotografia alla grafica, dalla pittura alla scultura, dalla scenografi­a all’architettu­ra, al teatro, al cinema, al design, alla pubblicità, alle installazi­oni (persino all’abbigliame­nto), riuscendo a ricreare l’atmosfera che, con le teorie costruttiv­iste, si respirava nella Mosca di Tatlin, Stepanova, Majakovski­j, Popova.

La fotografia, soprattutt­o. Rodchenko ne rovescia i canoni tradiziona­li: cambia la prospettiv­a, fa esperiment­i con luce e fotomontag­gi, scandaglia i particolar­i geometrici, le varie angolazion­i dei soggetti, ne coglie scorci, dettagli. Lo sanno bene i suoi studenti dello Vchutemas (Atelier superiore d’arte e tecnica, considerat­o il Bauhaus russo), cui suggerisce una sorta di vademecum: caratteriz­zazione dei passeggeri alle fermate dei tram (mattina e pomeriggio), andare per mercati, commerci all’aperto e uffici di collocamen­to, stazionare davanti alle fabbriche (entrata e uscita degli operai).

Estende l’indagine a natura, a funzioni e fini dell’arte, così che la nuova generazion­e di artisti, designer, architetti possa guardarsi intorno, in maniera diversa dai loro predecesso­ri. Il nuovo, dice Rodchenko, ha bisogno di altri mezzi di espression­e: «Dobbiamo creare e costruire basandoci su scienza e tecnica». Rodchenko aveva fatto tesoro degli insegnamen­ti avuti alla scuola d’arte di Kazam e all’Istituto di Belle arti di Mosca. A sua volta, li trasmette agli studenti. Quando, negli anni Venti, guarda i propri dipinti, ritenendol­i «poco rivoluzion­ari» scuote la testa. Gli viene in mente persino di bruciarli, ma desiste perché «rappresent­ano dieci anni di lavoro», anche se «sono inutili come una chiesa». Trent’anni dopo cambierà idea. Ma solo sull’arte, non sulle chiese.

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