«Fattore nonna» Se le «over 60» sbaragliano la concorrenza
Perché esistono le donne «mature»? È la provocazione di Liza Mundy per il mensile americano The Atlantic. Ironizzando sul ruolo sociale delle «femmine in postmenopausa» (difficilmente il corrispettivo maschile sarebbe usato per definire la stessa classe anagrafica dell’altro sesso), l’articolo ragiona sul peso dell’età nel riconoscimento professionale delle donne. I casi di studio per dimostrare «l’ipotesi nonna», ovvero che l’umanità abbia bisogno di baby-sitter d’esperienza: Hillary Clinton, 67 anni, ex segretario di Stato e candidata alla nomination democratica per le presidenziali Usa; Christine Lagarde, 59, direttrice del Fondo monetario internazionale; Janet Yellen, 68, presidente della Federal Reserve; Angela Merkel, 60, cancelliera tedesca (la più precoce). Tutte arrivate ai vertici della carriera — e dell’autorità — avanti negli anni, cresciute tra diritti da conquistare e barriere da superare, convinte di poter «avere tutto» ma poco alla volta. Dietro il ritardo non c’è solo la volontà (soggettiva) di dedicarsi prima alle gioie della famiglia, ma un meccanismo (oggettivo) per il quale gli uomini tendono ad essere promossi per il loro potenziale mentre le donne devono aver già portato risultati. In realtà l’obbligo di performance non sarebbe un gran problema, se fosse equamente distribuito. «Perché tanti incompetenti diventano leader?» si domandava nel 2013 la Harvard Business Review: forse, se avessero aspettato un po’, Bill Clinton e Barack Obama avrebbero raggiunto traguardi ben più ambiziosi. La Storia però non si fa con i «se». Piuttosto che aggiungere ostacoli per gli uomini, tanto vale rimuovere quelli per le donne.