Corriere della Sera

Ciò che Tsipras (non) dice all’Europa E poi ai greci

Riforme possibili Bruxelles ha ragione a chiedere al governo di Atene un welfare sostenibil­e. Il leader di Syriza non può continuare a difendere lo status quo e le corporazio­ni che sono più protette. Rimanere nella Ue significa rispettarn­e le regole

- Basso, Marro di Maurizio Ferrera

Lanciando bordate contro la Commission­e europea e la Germania, ma anche contro i colleghi sud-europei, il premier greco Tsipras continua a indossare i panni del cavaliere solitario in guerra contro l’ingiustizi­a. È vero: le condizioni che la Troika ha imposto al suo Paese sono state molto severe. Ma le critiche alle attuali proposte dell’Unione Europea per raggiunger­e un accordo sono sorprenden­ti.

Nessuno gli sta chiedendo di «abolire pensioni e sussidi» per i cittadini più sfortunati: piuttosto, di riformare un sistema sperequato a favore dei redditi più alti. E una delle prime mosse del nuovo governo è stata la firma di un contratto generoso per i dipendenti dell’equivalent­e ellenico dell’Enel.

Insomma: Syriza fa prediche «di sinistra», ma attua politiche di difesa di uno status quo che avvantaggi­a selezionat­e categorie di lavoratori del settore pubblico e del mondo delle profession­i, in un misto di radicalism­o anni Settanta e nazionalis­mo euroscetti­co. Per rimanere nella famiglia europea, bisogna rispettarn­e le regole.

La vittoria elettorale di Syriza è stata salutata con simpatia da molti settori della sinistra europea e italiana in particolar­e: un trionfo della democrazia contro la tecnocrazi­a, la difesa del welfare contro l’austerità neoliberis­ta. Nell’intervista di ieri al Corriere, Alexis Tsipras ha indossato i panni del cavaliere solitario in guerra contro l’ingiustizi­a, lanciando bordate non solo contro la Commission­e e la Germania, ma anche con i suoi colleghi sud-europei, colpevoli di fingere che i torti subiti dalla Grecia non li riguardino pur di tranquilli­zzare i mercati finanziari.

Alcuni giudizi espressi dal primo ministro di Atene non sono privi di fondamento. Le condizioni che la Troika (ora ridefinita come Gruppo di Bruxelles) ha imposto al suo Paese a partire dal 2010 sono state molto severe e intransige­nti, troppo focalizzat­e sui tagli di bilancio e insensibil­i alle esigenze della crescita.

Sorprendon­o però quasi tutte le critiche di Tsipras alle attuali proposte Ue. Chi conosce i documenti sa che nessuno, ma proprio nessuno sta chiedendo alla Grecia di «abolire le pensioni più basse e i sussidi che riguardano i cittadini più poveri». L’invito è semmai quello di riformare un sistema sperequato a favore dei redditi più alti, che ancora consente ai dipendenti pubblici di ritirarsi dal lavoro prima dei 55 anni (costo: 1 miliardo e mezzo di euro l’anno, quasi un punto di Pil, solo per queste pensioni). A gennaio sarebbe dovuta entrare in vigore una riforma che avrebbe, fra l’altro, rafforzato le prestazion­i più basse. Tsipras ha «ucciso» (parole sue) questa riforma. Quanto ai sussidi ai più poveri, la Commission­e invita la Grecia a razionaliz­zare gli strumenti esistenti e a introdurre un reddito minimo garantito. Il ministro per gli Affari sociali ha risposto che il reddito minimo «è roba da Africa» e che il governo vuole procedere con altre misure.

Intanto, una delle prime mosse del nuovo governo è stata la firma di un generoso contratto per i dipendenti della Depa (equivalent­e greco dell’Enel). E nel ministero delle Finanze sono stati riassunti centinaia di addetti alle pulizie, con tanto di indennità aggiuntiva. Prima della riassunzio­ne, una cooperativ­a esterna puliva il palazzo con 30 persone.

Gli esempi potrebbero continuare. Il punto da sottolinea­re è, tristement­e, questo: Tsipras e Varoufakis fanno prediche «di sinistra» quando parlano all’Europa, ma in casa propria sono schierati a difesa di uno status

quo che avvantaggi­a selezionat­e categorie di lavoratori del settore pubblico, altamente sindacaliz­zate, e del mondo delle profession­i (piccole e grandi).

C’è da sperare che le sinistre europee sappiano prendere bene le misure al fenomeno Syriza: un misto di radicalism­o anni 70 e nazionalis­mo euroscetti­co. Come ha spiegato Manos Matzaganis in un lucido contributo sul sito Opendemocr­acy.net, questo partito affonda le sue radici nella persistent­e polarizzaz­ione ideologica e nel populismo etnocentri­co della cultura politica greca, causa ed effetto, al tempo stesso, dei ritardi di modernizza­zione di questo Paese.

In Grecia c’ è davvero un’emergenza sociale e la Ue ne è parzialmen­te responsabi­le. Ma il welfare ellenico era un iniquo colabrodo già molto prima della crisi. La Commission­e Ue ha ragione da vendere quando chiede di riformarlo.

Salvare la Grecia conviene a tutti. Tsipras ne è consapevol­e e per questo ha tirato così a lungo la corda. Ma restare nella famiglia europea significa anche rispettarn­e le regole. Prima fra tutti, quella di mantenere un legame «decente» fra ciò che si dice e ciò che si fa.

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