Corriere della Sera

I FANTASISTI DELLA SCAPPATOIA

- Di Michele Ainis

In Italia va così: norme dure come il ferro, interpreta­zioni al burro. Succede quando la politica aumenta le pene dei delitti, salvo poi scoprire che aumentano, in realtà, i prescritti. Succede con le regole del gioco democratic­o. Talvolta arcigne, spesso cervelloti­che. E allora non resta che trovare una scappatoia legislativ­a al cappio della legge. Almeno in questo, noi italiani siamo professori. Come mostrano, adesso, tre vicende. Diverse una dall’altra, ma cucite con lo stesso filo.

Primo: il caso De Luca. Nei suoi confronti la legge Severino è severissim­a: viene «sospeso di diritto». Dunque nessuno spazio per valutazion­i di merito, per apprezzame­nti discrezion­ali. Tanto che il presidente del Consiglio «accerta» la sospension­e, mica la decide. Però l’accertamen­to è figlio d’una procedura bizantina: la cancelleri­a del tribunale comunica al prefetto, che comunica al premier, che comunica a se stesso (avendo l’interim degli Affari regionali), dopo di che tutte queste comunicazi­oni vengono ricomunica­te al prefetto, che le ricomunica al Consiglio regionale. Ergo, basterà un francoboll­o sbagliato per ritardare l’effetto sospensivo, permettend­o a De Luca di nominare un viceré. E poi, da quando dovrebbe mai decorrere codesta sospension­e? Dalla proclamazi­one dell’eletto, dissero lorsignori nel 2013 (caso Iorio). Dal suo insediamen­to, dicono adesso. Acrobazie interpreta­tive, ma in Campania l’alternativ­a è la paralisi. È più folle la legge o la sua interpreta­zione?

Secondo: la riforma del Senato. L’articolo 2 del disegno di legge Boschi è già stato approvato in copia conforme dalle assemblee legislativ­e, stabilendo che i senatori vengano eletti fra sindaci e consiglier­i regionali. La minoranza pensa sia un obbrobrio, la maggioranz­a a quanto pare ci ripensa. Però il ripensamen­to getterebbe tutto il lavoro in un cestino. La procedura, infatti, vieta d’intervenir­e in terza lettura sulle parti non modificate; se vuoi farlo, devi cominciare daccapo. Da qui il colpo d’ingegno: si proceda per argomenti, anziché per parti modificate. Dunque il voto cui s’accinge il Senato non è vincolato dal voto della Camera. Interpreta­zione capziosa? E allora verrà in soccorso una preposizio­ne: Palazzo Madama aveva scritto «nei», Montecitor­io ha scritto «dai». La copia non è proprio conforme, sicché il Senato può stracciarl­a. Domanda: meglio un obbrobrio sostanzial­e o un obbrobrio procedural­e?

Terzo: la sentenza numero 70 della Consulta. Quella sulle pensioni, con un costo stimato in 18 miliardi. Il governo, viceversa, ha stanziato 2 miliardi, risarcendo le pensioni più basse, ma lasciando all’asciutto 650 mila pensionati. Poteva farlo? Dicono di sì, con argomenti che s’appoggiano sulla motivazion­e della sentenza costituzio­nale. Che però disegna un arzigogolo, dove c’è dentro tutto e il suo contrario. Sennonché il dispositiv­o è netto, e non distingue fra categorie di pensionati. Dal dispositiv­o, peraltro, derivano gli effetti vincolanti. A meno che quest’ultimo non rinvii espressame­nte alla motivazion­e, come succede di frequente. Non in questo caso, tuttavia. E allora, che diavolo avrebbe potuto inventarsi il nostro esecutivo? Quattrini non ne abbiamo, siamo ricchi soltanto di fantasia interpreta­tiva.

Morale della favola, anzi delle tre favole su cui sta favoleggia­ndo la politica. Quando la legge, o il disegno di legge, o la sentenza fanno a cazzotti con la logica, diventa logica un’interpreta­zione illogica.

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