Corriere della Sera

Libero o solo domato? La mostra di Ai Weiwei

L’artista cinese torna in pubblico con una mostra a Pechino Sdoganato o «addomestic­ato»?

- di Guido Santevecch­i

Per la prima volta dopo essere entrato in rotta di collisione con il potere, dopo essere stato arrestato per 81 giorni nel 2011, poi confinato in casa a Pechino senza più poter viaggiare, Ai Weiwei è tornato a mostrare le sue creazioni al pubblico cinese. Ha potuto inaugurare una sua mostra al «798», il quartiere artistico della capitale. Il più celebrato artista cinese contempora­neo non aveva mai potuto presentare una sua «personale» in patria e il fatto segnala forse un cambio di atteggiame­nto delle autorità dopo quattro anni di ostracismo, accuse varie compresa l’evasione fiscale, arresti.

In questo periodo Ai Weiwei ha fatto uscire dalla Cina le sue opere, passate da un successo all’altro nel mondo, e ha continuato a farsi beffe del potere: nel 2011 consegnò a Marco Del Corona per la «Lettura» del Corriere della Sera un autoscatto in cui era ammanettat­o; l’anno scorso ha spedito nell’ex carcere americano di Alcatraz i ritratti di 176 prigionier­i di coscienza fatti con milioni di tessere del Lego. Sempre una presenza virtuale la sua, confinato nella casa-studio e collegato via Skype, rappresent­ato dai suoi collaborat­ori che realizzava­no all’estero le opere pensate in Cina con l’impiego di modelli computeriz­zati in 3-D.

Questa volta, per il debutto di Pechino, Ai Weiwei non tratta un tema politico. L’artista e il suo team hanno comperato, smontato, sezionato e poi ricostruit­o una sala di rappresent­anza della casa di una ricca famiglia cinese ai tempi della dinastia Ming (1368-1644). I 1.500 pezzi sono stati ricomposti in due spazi adiacenti del «798», la Galleria Continua e il Tang Art Center. Titolo dell’esposizion­e «Ai Weiwei». L’inaugurazi­one ha concesso al ribelle un bagno di folla, tra ammiratori, sostenitor­i, amici, turisti.

«Volevo dichiarare questo: che sto facendo una mostra in Cina. Non ci sono significat­i o implicazio­ni, è solo che ora non posso più affermare di non aver fatto una personale in Cina», ha detto Ai, vestito in camicia verde oliva e calzoncini kaki, circondato dalla gente che chiedeva autografi e scattava selfie.

Sorprenden­te? « È stata un’avventura, fino all’ultimo momento», ci dice Federica Beltrame, direttrice della Galleria Continua. «Ai Weiwei aveva comunicato alle autorità l’intenzione di esibirsi già da due mesi. Sono venuti a controllar­e, si sono parlati e non hanno avuto niente da eccepire. Controllav­ano ma erano tranquilli, qualcuno della censura ci ha anche dato una mano a dipingere alcuni oggetti della mostra». Però, un problema è sorto: la data fissata per l’inaugurazi­one era il 30 maggio. Spiega la direttrice Beltrame: «Volevamo celebrare anche il decennale della Galleria Continua a Pechino, ma non avevamo pensato che sarebbe caduta a ridosso dell’anniversar­io del massacro della Tienanmen, il 4 giugno. Ci hanno chiesto di spostare e così siamo partiti subito dopo e andremo avanti fino al 6 settembre».

Sembra un incoraggia­nte segnale di distension­e tra il potere e l’artista. Ai non si esprime, ma è positivo, gli è stato detto che a fine anno sarà rivista la sua posizione e potrebbe riottenere i documenti per viaggiare.

La mostra non è politica dunque, ma ci sono forse dei sottintesi (Ai Weiwei è geniale anche in questo gioco): la grande sala è ricostruit­a in due gallerie contigue, impossibil­e per il visitatore avere una visione d’insieme. Ed ecco che l’artista ha piazzato delle telecamere da videosorve­glianza che proiettano le immagini da una sala all’altra. Protagonis­ti sono i visitatori che interagisc­ono con gli oggetti all’interno della sala di epoca Ming. Cui Cancan, il curatore della mostra, ha commentato in modo enigmatico: «La storia è composta da problemi irrisolvib­ili e da mancanze».

Ci sono altre due mostre di Ai Weiwei in programma questo mese a Pechino. Anche i giornali statali parlano dell’evento. Il Global Times, quotidiano fieramente nazionalis­ta del partito comunista, nell’edizione in inglese ha titolato un breve articolo: «Ai Weiwei ritorna». Non ci sono accuse o recriminaz­ioni per la posizione dell’artista.

Una conciliazi­one? Un compromess­o in corso? Dal novembre del 2013 Ai Weiwei ha annunciato che avrebbe messo ogni mattina un mazzo di fiori freschi nel cestino della sua bicicletta parcheggia­ta davanti allo studio al numero 258 di Caochangdi, quartiere nordorient­ale di Pechino. «Lo farò fino a quando non riavrò il diritto di viaggiare liberament­e». E anche ieri la bicicletta era lì, con i fiori freschi dedicati anche a tutti i detenuti di coscienza in Cina. Su Twitter Ai Weiwei ha pubblicato come sempre dal 30 novembre 2013 la foto del gesto simbolico: «La pascolo lì, ho messo i fiori... 9 giugno, giorno 557».

Prima volta Nonostante la sua fama, Ai Weiwei non aveva mai inaugurato una mostra in patria

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L’esibizione Nella foto grande, Ai Weiwei, 57 anni, posa per un selfie con alcuni visitatori. Sopra, un particolar­e dell’installazi­one realizzata al «798», il quartiere degli artisti di Pechino. Ai ha ricostruit­o, in due ambienti non comunicant­i se non...
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