Corriere della Sera

I frutti avvelenati del voto

- Di Massimo Franco

Sul fianco del governo si sono conficcate due spine fastidiose: una è la riforma della scuola, l’altra l’immigrazio­ne che sta mettendo le istituzion­i una contro l’altra.

inciampo in Senato sulla riforma della scuola tocca un argomento delicato per il Pd: sebbene ieri sia stata la maggioranz­a e non il partito del premier Matteo Renzi a far mancare i voti. La questione dell’immigrazio­ne sta prendendo una china perfino più inquietant­e. Non divide tanto sinistra e destra, ma Nord e Sud. Frantuma l’unità nazionale con un’isteria crescente, fomentata dalla strategia xenofoba leghista. E rischia di offrire all’Europa un ottimo alibi per aiutarci ancora di meno ad accogliere i disperati che approdano in Italia attraverso il Mediterran­eo.

La domanda è perché tutto questo accada ora. Una risposta è rintraccia­bile probabilme­nte nei risultati elettorali del 31 maggio alle Regionali e nelle inchieste della magistratu­ra su Mafia Capitale. Il sospetto è che le opposizion­i, dentro e fuori dall’Esecutivo, abbiano «letto» il voto come un indebolime­nto del governo e una prova della propria capacità di sopravvive­nza. E si siano decise ad incalzare il premier su tutti i suoi punti deboli, o presunti tali, convinti che la «pancia» del Paese, quella che vota contro e quella che si astiene, sia pronta ad assecondar­e un’offensiva populista dai toni esagitati.

In apparenza, lo scivolone in commission­e al Senato su un parere di costituzio­nalità in tema di riforma della scuola, è solo un «incidente tecnico», nelle parole di Luigi Zanda: anche perché il Pd ha votato compatto, e sono state le assenze degli alleati di Alleanza popolare a provocare l’incidente. Tuttavia, l’episodio ripropone due problemi seri. Il primo è lo scontento della minoranza dei democratic­i sulle norme decise da Renzi, e la genericità delle modifiche che pure il premier ha detto di essere disponibil­e a fare. Il secondo è l’incognita sui numeri della maggioranz­a a Palazzo Madama. Sulla carta ci sono, risicati; ma senza una ricomposiz­ione del Pd, l’incertezza diventa una pericolosa costante.

L’altra spina, quella extraparla­mentare, spaventa per motivi diversi. Segna una radicalizz­azione delle opposizion­i, e la rinuncia di tutto l’arcipelago del centrodest­ra a qualunque strategia moderata. Quando perfino i capi dei gruppi parlamenta­ri di Forza Italia, Renato Brunetta e Paolo Romani, ipotizzano di «fermare l’invasione di immigrati intervenen­do anche militarmen­te», significa che si è rotto qualcosa. La spiegazion­e più immediata è che il partito di Silvio Berlusconi viva una tale crisi di identità e di voti da essere costretto a mutuarla dalla Lega di Matteo Salvini. Ma poi si deve registrare l’inquietudi­ne di alcuni amministra­tori del Nord anche di centrosini­stra.

Ci si accorge che il candidato sindaco del governo a Venezia, Felice Casson, non dice cose molto diverse dai leghisti, seppure con parole meno truci. Si apre un contenzios­o tra i prefetti che rappresent­ano lo Stato e «Roma», e i primi cittadini e i governator­i forti dei consensi delle popolazion­i locali. E la polemica furiosa sugli immigrati, anzi «sulla pelle dei disperati», come scrive l’Osservator­e romano, quotidiano del Vaticano, assume contorni più marcati e gravi. Prelude ad una lacerazion­e insieme geografica e culturale, che attraversa gli schieramen­ti e l’opinione pubblica. E sta mettendo le istituzion­i l’una contro l’altra.

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