Corriere della Sera

Il Papa e la Chiesa: l’antica diffidenza sui veggenti privati

Dottrina «L’ultima parola di Dio», ha detto Francesco, «si chiama Gesù e niente più» Parole che richiamano una lunga tradizione, da Benedetto XIV, nel Settecento, al teologo cardinale Ratzinger che parlò di «un aiuto» non necessaria­mente da usare

- Farina, Vecchi di Luigi Accattoli

Molti cercano i «veggenti», «ma questa non è identità cristiana»: a dirlo, riferendos­i implicitam­ente a Medjugorje, è papa Francesco.

Sapevamo che papa Francesco era allergico alle «rivelazion­i private»: lo raccontano le biografie e lo documentan­o i testi di quand’era arcivescov­o di Buenos Aires. Già una volta si era espresso con sarcasmo — in un’omelia a Santa Marta — sui continui messaggi che la Madonna manda ai suoi devoti «tutti i giorni» qua e là per il mondo. Ma nel richiamo di ieri, venuto anch’esso durante la celebrazio­ne del mattino, c’è un elemento in più, contenuto nella sentenza — come dicevano i teologi medievali — che «l’ultima parola di Dio si chiama Gesù e niente più».

È esattament­e, parola per parola, la stessa frase usata dal cardinale Ratzinger nel «Commento teologico» con cui nel giugno del 2000 accompagnò la pubblicazi­one della «terza parte» del Messaggio di Fatima: «In Cristo, Dio ha detto tutto e pertanto la rivelazion­e si è conclusa con la realizzazi­one del mistero di Cristo, che ha trovato espression­e nel Nuovo Testamento».

E le rivelazion­i private, tipo Lourdes, Fatima e altre dieci, per contare solo quelle mariane che sono state riconosciu­te dalla Chiesa? Dodici in tutto, su 295 per le quali era stato chiesto il parere di Roma. Le rivelazion­i private sono — dice sempre Ratzinger — «un aiuto che è offerto, ma del quale non è obbligator­io fare uso».

Del resto già Benedetto XIV, nel Settecento, aveva affermato categorica­mente che «un assentimen­to di fede cattolica non è dovuto a rivelazion­i [private] approvate in tal modo; non è neppure possibile. Queste rivelazion­i domandano piuttosto un assentimen­to di fede umana conforme alle regole della prudenza».

Come a dire: se ci vuoi credere, puoi crederci, ma non sei tenuto e comunque in quelle rivelazion­i private non trovi nulla di essenziale che non sia già nell’«unica rivelazion­e pubblica», cioè destinata a tutti. La Civiltà Cattolica già nel 1953, in un articolo su Fatima a firma del teologo fiammingo Edouard Dhanis, riassumeva in questi tre elementi il significat­o dell’approvazio­ne ecclesiast­ica di una rivelazion­e privata: «Il messaggio relativo non contiene nulla che contrasta la fede ed i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico; i fedeli sono autorizzat­i a dare ad esso in forma prudente la loro adesione». Autorizzat­i, appunto: non tenuti.

I Papi hanno sempre seguito questa regola aurea, sostanzial­mente razionale e diffidente nei confronti delle torme di veggenti da cui sono stati sollecitat­i nei secoli e più che mai negli ultimi due. Ma se tutti i Papi erano guardinghi, Benedetto e Francesco appaiono addirittur­a refrattari: Ratzinger per razionalit­à teologica tedesca, Bergoglio per buonsenso pastorale latino.

Un’idea della loro impermeabi­lità soggettiva alla passione visionaria di cui traboccano movimenti e parrocchie l’abbiamo avuta con il fatto che il primo chiamò a presiedere la Commission­e su Medjugorje il cardinale Camillo Ruini, che il secondo ha confermato nell’incarico. Di Ruini tanto e tutto si può dire ma non che vada pazzo per «locuzioni» e «visioni».

Le conclusion­i della Commission­e stanno per essere pubblicate ed è verosimile che il Papa si limiti a recepirle nella loro asciuttezz­a. Di sicuro non sarà lui a contraddir­e la prevedibil­e severità di quel verdetto: si dice che vi sia apprezzame­nto per i buoni frutti che «spesso» vengono dalla frequentaz­ione di quel villaggio dell’Erzegovina, ma il giudizio sulla natura delle apparizion­i resterà «sospensivo»: non diranno che non sono attendibil­i, ma non diranno neanche che lo sono.

«Provo un’immediata diffidenza davanti ai casi di guarigione e persino quando si tratta di rivelazion­i o visioni; sono tutte cose che mi mettono sulla difensiva» ebbe a dire il cardinale Bergoglio nel volume di dialoghi con il rabbino argentino Abraham Skorka, tradot to da Mondadori nel 2013 con il titolo Il cielo e la terra.

Ogni sacerdote ha tra i suoi parrocchia­ni una dozzina di portatori di «messaggi»; i vescovi sono poi assediati da centinaia di «veggenti». Ne fece buona esperienza anche Bergoglio da vescovo argentino, quale fu per 21 anni. «Spesso, a Buenos Aires, devo screditarn­e molti — affermò in quel volume — perché i casi di falsi profeti sono molto più comuni e frequenti di quanto si possa immaginare».

Un caso recente di presunte rivelazion­i private che mirano a condiziona­re i Papi si è visto il 9 maggio scorso, quando due persone in rappresent­anza di una veggente di nome Conchiglia hanno incontrato Benedetto XVI nei Giardini Vaticani e gli hanno consegnato un volume che contiene accuse nei confronti di papa Francesco. Avendo costoro vantato l’appoggio del Papa emerito, don Georg, che era presente all’incontro, ha detto a Vatican insider che «se Benedetto XVI avesse saputo di che cosa si trattava non avrebbe accettato l’incontro: ci sono tanti che si dicono veggenti, in giro». Le stesse parole di Bergoglio cardinale.

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