Corriere della Sera

Villa al politico algerino grazie ai fondi Saipem

Rogatoria Usa lega per la prima volta i soldi del gruppo all’ex ministro dell’energia

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

La traccia La casa nel Maryland pagata con denaro transitato sui conti di un mediatore di Dubai

11 Miliardi di dollari: il valore dei contratti di Saipem in Algeria 6 i manager sotto processo a Milano per le presunte tangenti

MILANO L’arrivo da Francia e Stati Uniti delle risposte alle rogatorie chieste dalla Procura di Milano nell’inchiesta sulle contestate tangenti Saipem in Algeria consente all’accusa, per la prima volta, di mostrare che almeno un pubblico ufficiale straniero – elemento base dell’imputazion­e di corruzione internazio­nale mossa all’ex ad Eni Paolo Scaroni, ad altri 5 manager e alle società controllan­te Eni e controllat­a Saipem – ha ricevuto denaro provenient­e dalla Saipem.

I pm Fabio De Pasquale, Isidoro Palma e Giordano Baggio da tempo argomentav­ano che commission­i d’agenzia alla società di Hong Kong «Pearl Partners Limited» avessero mascherato il pagamento fino al 2010 (su conti a Dubai, Libano e Svizzera) di 197 milioni di Saipem a politici e burocrati dell’Algeria per assicurare alla controllat­a da Eni otto contratti petrolifer­i del valore di 11 miliardi di dollari. Sinora, però, il tragitto dei soldi della ritenuta tangente si interrompe­va ai piedi dell’enigmatico Farid Bedjaoui, latitante a Dubai dall’estate 2013, 45enne uomo d’affari algerino detto «il Giovane» da chi lo sapeva essere il referente de «il Vecchio», cioè del ministro dell’Energia algerino, e ritenuto insieme a Samir Ourayed (gestore della Pearl Partners) e a Omar Habour l’intermedia­rio dei politici.

Ora la novità è che le rogatorie, depositate in vista della ripresa dopodomani dell’udienza preliminar­e, mostrano che l’allora ministro algerino dell’Energia, Chekib Khelil, nel 2007 negli Stati Uniti ha comprato una villa con giardino a Grosvenor Place, nel Maryland, intestata per il 40% a se stesso, per il 40% a sua figlia e per il 20% a Omar Harbour. E, soprattutt­o, che l’ha comprata con 1 milione e 950.000 dollari provenient­i dal conto svizzero «Berg», alimentato da una società di Bedjaoui, «Mincle», a sua volta alimentata dalla Justine Dsa, a sua volta alimentata dalla «Pearl Limited» di Bedjaoui con i soldi della prima tranche di pagamenti ufficiali effettuata da Saipem Portugal.

Non è l’unica novità. Lo scorso 12 maggio l’ex numero uno di Saipem in Algeria, Tullio Orsi, aveva rotto il fronte del no degli imputati, e aveva anticipato l’accordo con i pm per chiedere alla gup Clemente di patteggiar­e con quasi 3 anni di pena la corruzione internazio­nale. Ora si apprende che il 30 maggio l’ex azienda di Orsi ha comunicato alla gup Clemente di aver promosso nei confronti di Orsi azione di risarcimen­to dei danni in relazione ai circa 5 milioni che il manager ha ammesso di aver percepito in nero dalla galassia Bedjaoui e anche da fornitori italiani: azione del tutto legittima, pur se la tempistica (ora e non mesi fa quando già erano noti i fatti), e l’unico bersaglio (Orsi e non altri colleghi nella stessa situazione), sembrano collegarla all’intenzione di Orsi di patteggiar­e. Repentino è pure il cambio di avvocati di Pietro Varone, l’ex direttore operativo Saipem che da possibile accusatore si era invece attestato di recente sulla più sfumata linea secondo cui «Bedjaoui non mi ha mai detto “Io do i soldi di Saipem al ministro dell’Energia”». In passato Varone aveva denunciato che dentro Saipem, tra l’1 dicembre 2012 (giorno dell’avviso di garanzia) e il 19 dicembre (giorno del sequestro del suo computer aziendale) le sue mail fossero state misteriosa­mente distrutte. Adesso una perizia informatic­a, depositata dai pm, rileva che alcuni files del pc sono stati davvero cancellati e non sono più recuperabi­li, ma che i relativi accessi al suo pc sono avvenuti in giorni e orari nei quali Varone era ancora in azienda.

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Paolo Scaroni, ex ad dell’Eni: la Procura di Milano lo accusa di aver pagato tangenti a funzionari algerini in cambio di contratti petrolifer­i

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