«Mi emarginavano» La ragazza che perseguita le ex compagne di scuola
Genova, stalker per vendetta 8 anni dopo con lettere e in Rete
vestiva, appunto, da «sfigata», che non si capisce bene cosa significhi, forse trasandata, con poca cura di sé. Il nome è fittizio, inventato dagli investigatori per tutelare una persona comunque in difficoltà, anche lei «una vittima», per dirla con le parole di Maria Teresa Canessa, dirigente dell’Ufficio atti persecutori della questura di Genova che ha risolto il caso, chiamiamolo così. Irina sarebbe la versione russa di Irene, che significa pace, ma qui il significato va inteso come semplice assonanza con Erinni, la rappresentazione femminile della vendetta.
Succedeva ogni martedì. Marta si presentava negli uffici della Polizia giudiziaria con la posta raccolta durante la settimana precedente. Le lettere anonime non arrivavano a lei ma parlavano di lei, spedite a suoi amici di Facebook che magari non si conoscevano tra loro. Gli insulti erano semplici nella loro volgarità adolescenziale, come quelli che si leggono sui muri dei cessi delle stazioni. Tutti i destinatari avevastati Messaggi Alcune delle lettere
spedite dalla stalker che a distanza di anni perseguitava le ex compagne di classe e adesso sequestrate dalla polizia di Genova no ricevuto telefonate anonime al numero di casa, che volevano accertarsi della reale identità della persona che poi avrebbe ricevuto la missiva con fotomontaggi e insulti diretti a Marta e in seguito alle sue amiche del liceo classico D’Oria, una istituzione della Genova borghese con valanghe di studenti celebri, da Paolo Villaggio a Massimo D’Alema passando per Enrico Ghezzi, l’inventore di Blob, e Paolo Fresco, l’ex amministratore delegato della Fiat.
I tabulati hanno rivelato che alcune chiamate erano partite dal numero privato di una casa dove abitano tre sorelle. La più grande aveva 23 anni, come le dirette interessate alle molestie postali. Una delle ultime lettere ricordava come «anche» Marta fosse stata «bullata» fin dalle elementari. Convocata in questura, Marta ha negato di avere mai subìto angherie tra i banchi. Ma si è ricordata di una compagna di classe che ai tempi della prima liceo era stata «isolata», questa è la sua dichiarazione, da lei e dalle sue amiche. E come spesso succede, non c’è un vero perché a un processo di selezione frequente, talvolta crudele. A domanda è stato risposto che mandava un cattivo odore, si truccava in modo strano, stava sulle sue. E’ andata così.
Il resto è cronaca, come l’hanno raccontata i quotidiani genovesi. Il telefono di casa era quello della famiglia di Irina. Nella sua stanza è stato trovato di tutto e di più. Componeva le stampe a colori in un Internet point, le conservava e catalogava. Nella sua agenda c’è il resoconto giornaliero dell’opera di demolizione delle vite delle altre. Come fanno tutti quando devono cercare informazioni su persone che non vedono più da tempo, si era affidata a Facebook, non facendo distinzioni, non era in grado di farle, tra amici di vita vera e virtuali. «Non vi merita», «State attenti, non fidatevi», «Non è degna di voi» postava con pseudonimi sulle varie bacheche. Aveva mandato lettere al fidanzato milanese di Marta, che «un frocio» perché stava con lei. Quando gli account delle sue ex compagne di classe sono chiusi su consiglio della questura, era entrata in una chat erotica usando il nome di Marta ma lasciando a chi cercava incontri particolari il numero di telefonino della sua migliore amica, per ottenere il massimo del danno. Andava sempre peggio. «Se vedi ancora quella ti brucio con l’acido» si legge nell’ultima lettera. Agli atti dell’inchiesta c’è anche la denuncia fatta nel 2007 dal padre di Irina al preside del D’Oria. Si lamentava del fatto che la figlia fosse «emarginata» e quindi soggetta a «costante umiliazione». Marta e le sue amiche quasi non ci credevano. Quello che Irina aveva vissuto come bullismo per loro
Social network I messaggi osceni venivano spediti anche ai conoscenti delle vittime Le telefonate Erano fatte da cabine pubbliche, ma in due casi sono arrivate da un appartamento
era libero arbitrio, si sceglie con chi stare. «Siamo sicure di non aver mai fatto alcuna discriminazione», hanno detto. Oggi studiano all’università.
Irina invece non esce quasi mai. È diventata una stalker professionista. Da quella stanza sono uscite altre storie simili a questa, che racconta qualcosa per la scelta della diffamazione diffusa, i social network usati al tempo stesso come fonte e strumento e per gesti subito dimenticati che a volte diventano ferite difficili da dimenticare per chi le subisce. In una nota dell’anno scorso si vanta di aver fatto saltare per aria una storia d’amore tra altri due suoi coetanei a forza di lettere anonime. «Bersaglio colpito e affondato», scrive. La sua vendetta postdatata pare sia cominciata dopo la fine di una relazione nella quale aveva molto creduto, come se la felicità che le si sentiva negata dovesse essere impedita anche agli altri, a ogni costo. Quando gli agenti hanno bussato alla sua stanza, credeva fossero venuti per aiutarla. «Lo so perché siete qui. Ho anche fatto una denuncia. Sono vittima del bullismo, mi hanno perseguitata al liceo, tanto tempo fa».