Gli zombi all’assalto di Milano città elegante dal cuore freddo
La storia splatter di Francesco Bianconi, «La resurrezione della carne» (Mondadori)
Nella Milano del dopoExpo (quando? tra un mese tra un anno, chi sa chi lo può dire), i nomi delle strade sono stati cambiati. Corso Venezia è diventato via della Comunicazione, via Torino è corso America, piazza S. Alessandro è piazza Steve Jobs e corso Buenos Aires è via dell’Oriente. E ancora: i Giardini di Porta Venezia (nel frattempo ribattezzati Giardini Indro Montanelli) si chiamano Parco Energie per la Vita mentre via Turati risponde al nome pomposo di via delle Nuove Opportunità. In questa Milano futuribile, dove un assessore orwelliano ha cambiato la toponomastica per istillare valori di positività e ottimismo, in questa Milano post-Milano si ambienta il secondo romanzo di Francesco Bianconi, La resurrezione della carne (Mondadori), che esce quattro anni dopo Il regno animale. Se il folgorante debutto del 2011 era scritto in prima persona — una sorta di Vita agra mezzo secolo dopo, grandi speranze e disperanti delusioni di un giovane intellettuale arrivato dalla provincia toscana — qui c’è un protagonista, Ivan, milanese di nascita, poeta per vocazione ma ora sceneggiatore di una serie tv giunta alla terza stagione e venduta in tutto il mondo. È, appunto, La resurrezione della carne, titolo evangelico ferocemente sfruttato per raccontarci gli zombi alla conquista di Milano. Vuol essere un omaggio al cinema di Lucio Fulci, che nel 1979, sulla falsariga dei morti viventi di Romero, realizzava Zombi 2, assoluto capolavoro del genere horror.
Se Fulci partiva da un’isoletta dei Caraibi per portare il contagio fino a New York, la serie italiana mette in scena il suo delirio splatter tra Cimitero Monumentale, Navigli, piazza Duomo. In una sequenza che vediamo girare, gli zombi famelici assalgono e divorano il fatuo popolo dei visitatori della Settimana del design, in un tripudio di carne a brandel- li, liquami cadaverici, miasmi fetidi.
Scontento, abitato da ricordi di un’infanzia che sembrano risalire a qualche era preistorica (il padre che arriva a casa portando un Brionvega a colori, il padre ancora che lo porta a vedere i fenicotteri rosa di Palazzo Invernizzi), Ivan si lascia vivere. Qualche ragazza, ma senza farsi coinvolgere, almeno fino all’incontro con Giovanna, hostess di un bar-ristorante di nuovo tipo. Si piacciono, si amano, fanno un figlio. Poi il destino si porta via Giovanna, anzi non il destino ma un coglione di automobilista che sta mandando un sms e la investe in via delle Nuove Opportunità. Padre e figlio sono rimasti soli.
Nell’immaginazione dello sceneggiatore si ritrovano come nella Strada di Cormack McCarthy, in fuga dalla città degli zombi. Ma è solo una fantasia (è una fantasia pure la morte della moglie e madre?).
Leader del gruppo musicale Baustelle, autore dei migliori testi di canzoni degli ultimi anni ( Bruci la città, Gli spietati, I mistici dell’Occidente, Follonica), Francesco Bianconi torna ancora a parlarci di Milano, città agra del suo primo libro, ora grottesca capitale del Food. Metropoli popolata da chef vanagloriosi, incensati da giornaliste che vanno in estasi per un «sashimi fusion destrutturato» (l’intervista per un settimanale che conta i minuti di lettura ricorda Palombella rossa di Nanni Moretti); città dove l’apertura di un bar, la presentazione di un nuovo modello di auto, l’ennesimo ristorante remixato, tutto questo si aggiudica l’enfatico nome di Evento; non-luogo dove dj minorenni vengono promossi artisti concettuali. Insomma, Milano così com’è, così come vuole apparire. Città dalla «bellezza nascosta», che va cercata in cortili non aperti al pubblico, Milano soffre il paragone con la «grande bellezza» di Roma, contro cui replica vantando pudore e discrezione, probabilmente falsi: sì perché i nuovi milanesi che non hanno tempo «vivono lo spazio metropolitano in maniera brutale, usa e getta».
Infastidito da tanta superficialità, ma in qualche modo complice anche lui del sistema dell’apparenza, Ivan si vendica con la serie tv, Milano distrutta dagli zombi. Ma non gli basta. Manca, forse, a La resurrezione della carne il finale straziante e bellissimo del primo libro (inquadrata dall’alto, dove stanno i due cavalli alati, si vede la vita dei disperati che consumano il loro tempo sulla piazza della Stazione Centrale), ma l’immagine di questa Milano post-Milano resta senz’altro una delle cose più forti della narrativa italiana di oggi.
Utopie Qui le strade hanno nomi che vogliono ispirare ottimismo e fiducia nel futuro