Europa, il dietrofront di Cameron Al premier sfugge di mano l’ala «scettica» dei conservatori
C’era forse da aspettarselo che Boris Johnson, fresco di elezione a Westminster e sindaco di Londra ancora per un anno, cogliesse al volo la prima occasione utile per mettersi di traverso a David Cameron. Ma che, dai microfoni della Bbc, scendesse in campo per prendere le parti della falange più euroscettica è apparso un vero e proprio colpo proibito.
I conservatori hanno stravinto le elezioni però sono più che mai divisi e le loro fibrillazioni diventano pubbliche durante il dibattito alla Camera dei Comuni sulla legge che dà il via al referendum «Brexit» entro il dicembre 2017.
La scintilla è stata due giorni fa una sibillina frase di David Cameron relativa alla «responsabilità collettiva» dei ministri, ossia alla necessità di esprimersi sul sì o sul no all’Europa e adeguarsi alle posizioni del governo soltanto dopo che si saranno concluse le negoziazioni con i partner europei. Un monito alla truppa, quello di Downing Street: andremo al referendum con una posizione unica da decidere una volta verificate le possibilità di riformare le relazioni con Bruxelles e non in ordine sparso. Chi non è d’accordo è fuori dall’esecutivo, è sembrato essere il messaggio. È bastato poco perché all’orecchio del primo ministro arrivassero i brontolii dell’ala più euroscettica. Al punto da indurre lo stesso Cameron a frenare: sono stato frainteso. Come se la retromarcia potesse bastare a sedare le frizioni.
La verità è che molti conservatori si sentono già in campagna referendaria. Lo stop di Cameron li ha irritati e sono usciti allo scoperto evidenziando le difficoltà di Cameron nel tenere compatto il suo partito.
A gettare benzina sul fuoco ha pensato Boris Johnson approfittando di un’intervista alla Bbc. «I ministri devono essere liberi di esprimersi». Sostegno dunque agli euroscettici. Chi, nell’esecutivo, è per il no all’Europa ha il diritto di dirlo da subito. Posizione che ha consentito ad alcuni parlamentari tory di azzardare: «Cameron rischia grosso, persino di affondare senza accorgersene».
Non sono punzecchiature isolate. Downing Street ha il problema di gestire i cinquanta deputati che hanno fondato il gruppo di pressione anti Europa, «Conservatori per la Gran Bretagna». Per loro non è sufficiente la certezza del referendum, che tra l’altro vedrà votare anche sedicenni e diciassettenni. Si spingono oltre l’impegno siglato nel manifesto elettorale e richiamato dalla moderazione di Cameron: prima negoziamo poi votiamo.
Vogliono mani libere e premono su Downing Street. Anche per anticipare i tempi della consultazione. Ipotesi che il ministro degli Esteri, Philip Hammond, non ha escluso. Gli euroscettici puntano al maggio 2016, in concomitanza con le elezioni amministrative londinesi. La maggioranza assoluta ai Comuni non significa che i conservatori siano un partito compatto. Il referendum europeo è per Cameron un terreno che nasconde l’insidia delle sabbie mobili. Il passaggio dall’inquietudine alla rivolta può essere breve.