Corriere della Sera

Ricordo di Mario D’Urso il «senatore» multiforme

- di Gian Antonio Stella

«Buonaseva, cava, permette? Sono Mavio D’Uvso. A proposito, lo vede il mio autista? Non mangia da ove, glielo dà un biscottino?» Era l’una e mezzo di notte, faceva caldo, sul lungomare di Napoli c’era ancora un via vai di nottambuli e la venditrice di «cocco e sfizi» guardò lo strano spilungone che le chiedeva un voto alle Europee spalancand­o la bocca di meraviglia: che ci faceva, lì, quel signore? E proprio questa era l’arte del mitico senatore appena scomparso. Altissimo, «snobbissim­o», elegantiss­imo, laureato in giurisprud­enza, Master alla George Washington University, una vita ai vertici di «Lehman Brothers» prima della bufera, amico di Jackie Kennedy e Gianni Agnelli e poi dei Windsor, dei Rothschild e tutti i protagonis­ti del jet-set, riusciva a sentirsi a suo agio anche anche nei più sgarrupati bassifondi partenopei.

Capace di festeggiar­e tre volte lo stesso capodanno (a Manila, Honolulu e Los Angeles), si immerse nelle Europee del 1999 avventuran­dosi di topaia in topaia con inarrivabi­le leggerezza. E dispensava a destra e manca magliette elettorali e berretti e salami e spaghetti e cravatte (di Ermenegild­o Zegna!) e perfino orologi elettorali: «Ma li elimino: si legge benissimo “Lista Dini” e “Vota d’Urso” ma non si vede più l’ora». Ogni tanto sospirava: «Devo sottomette­rmi ad ogni bassezza, per battere Pino Pisicchio». Andò a infilarsi, quella sera, nel caos sudaticcio della «Pizzeria-night-club Blackout» dove ballava tra i giovanissi­mi («Mu-mu-mu-mu-muchachos!!! / Mu-mumu-mu-muchachas!!!») e poi a una festa marocchina e infine in una baldoria elettorale dove un muratore arricchito prima chiese dei circuiti internodal­i ma poi venne al punto: «Voi che avete avuto la fortuna di conoscerla: ma cumm’è, ‘sta Sharon Stone?». Il senatore gli si chinò all’orecchio. Quello s’illuminò e andò via. Gli amici intorno: «Che ti ha detto? Cumm’è ‘sta Sharon?». «M’ha detto: “gvandissim­a figa, cavo”».

Rivelava aneddoti fantastici. Dall’oculatezza della regina Elisabetta che «nelle cene con gli amici usava piatti di plastica» alle abitudini di Giuliana d’Olanda: «Nel 1960, per le Olimpiadi, fu ospite da noi, a Roma. Tutte le mattine si faceva il letto da sola, si lavava la biancheria, mutande, reggiseno, tutto. Stirando, preparava a memoria il discorso di riapertura del Parlamento». Ci mancherà.

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