Ricordo di Mario D’Urso il «senatore» multiforme
«Buonaseva, cava, permette? Sono Mavio D’Uvso. A proposito, lo vede il mio autista? Non mangia da ove, glielo dà un biscottino?» Era l’una e mezzo di notte, faceva caldo, sul lungomare di Napoli c’era ancora un via vai di nottambuli e la venditrice di «cocco e sfizi» guardò lo strano spilungone che le chiedeva un voto alle Europee spalancando la bocca di meraviglia: che ci faceva, lì, quel signore? E proprio questa era l’arte del mitico senatore appena scomparso. Altissimo, «snobbissimo», elegantissimo, laureato in giurisprudenza, Master alla George Washington University, una vita ai vertici di «Lehman Brothers» prima della bufera, amico di Jackie Kennedy e Gianni Agnelli e poi dei Windsor, dei Rothschild e tutti i protagonisti del jet-set, riusciva a sentirsi a suo agio anche anche nei più sgarrupati bassifondi partenopei.
Capace di festeggiare tre volte lo stesso capodanno (a Manila, Honolulu e Los Angeles), si immerse nelle Europee del 1999 avventurandosi di topaia in topaia con inarrivabile leggerezza. E dispensava a destra e manca magliette elettorali e berretti e salami e spaghetti e cravatte (di Ermenegildo Zegna!) e perfino orologi elettorali: «Ma li elimino: si legge benissimo “Lista Dini” e “Vota d’Urso” ma non si vede più l’ora». Ogni tanto sospirava: «Devo sottomettermi ad ogni bassezza, per battere Pino Pisicchio». Andò a infilarsi, quella sera, nel caos sudaticcio della «Pizzeria-night-club Blackout» dove ballava tra i giovanissimi («Mu-mu-mu-mu-muchachos!!! / Mu-mumu-mu-muchachas!!!») e poi a una festa marocchina e infine in una baldoria elettorale dove un muratore arricchito prima chiese dei circuiti internodali ma poi venne al punto: «Voi che avete avuto la fortuna di conoscerla: ma cumm’è, ‘sta Sharon Stone?». Il senatore gli si chinò all’orecchio. Quello s’illuminò e andò via. Gli amici intorno: «Che ti ha detto? Cumm’è ‘sta Sharon?». «M’ha detto: “gvandissima figa, cavo”».
Rivelava aneddoti fantastici. Dall’oculatezza della regina Elisabetta che «nelle cene con gli amici usava piatti di plastica» alle abitudini di Giuliana d’Olanda: «Nel 1960, per le Olimpiadi, fu ospite da noi, a Roma. Tutte le mattine si faceva il letto da sola, si lavava la biancheria, mutande, reggiseno, tutto. Stirando, preparava a memoria il discorso di riapertura del Parlamento». Ci mancherà.