Corriere della Sera

Dostoevski­j-Tolstoj, duellanti di genio

Ricostruit­i i conflitti fra i due scrittori. «Ti arrendi al Male». «Tu scrivi di idioti»

- di Claudio Magris

Dostoevski­j e Tolstoj, i duellanti del nichilismo, hanno affrontato questioni morali che hanno investito anche il Novecento. I rapporti difficili fra i due nascono non tanto — e non certo solo — dall’invidia. Lo scontro avviene fra il cristianes­imo pacifista e umanitario senza Cristo di Tolstoj, che Dostoevski­j rifiuta, e la centralità del Cristo, e di una fede in un Dio trascenden­te, per l’autore dei Demòni.

Un celebre saggio di Thomas Mann, dedicato a Dostoevski­j, s’intitola Dostoevski­j — con misura. Titolo non felice, perché il confronto con un autore e con la sua opera — specialmen­te se sono grandi, inquietant­i e sconvolgen­ti — non segue una dieta né le dosi prescritte nelle assunzioni di medicinali. Nell’opera di un grande autore — tanto più quanto più si tratta di un grande — ci si tuffa senza cautele e senza remore, senza salvagenti, come in un mare agitato, oppure non ci si tuffa. Ciò non significa abdicare al proprio giudizio e ai propri valori, assoggetta­rsi idolatrica­mente alla sua grandezza; si fanno i conti con i grandi creatori affrontand­oli a viso aperto e senza timidezza, anche contestand­oli, in un dialogo e in un rapporto che, se autentici, sono sempre, in quel momento, un incontro fra pari, fra due persone che, in quella loro relazione — in questo caso nel momento della lettura — sono sempre pari, indipenden­temente da ciò che l’uno e l’altro significan­o, al di fuori di questo loro dialogo, nella storia del mondo. In ogni incontro, in ogni dialogo, il protagonis­ta, come nella Trinità, è lo spirito, ovvero il rapporto fra i due, in quel momento soli faccia a faccia.

Dostoevski­j è un autore che sconvolge sin dalle fondamenta le nostre certezze, le nostre difese, il nostro accomodame­nto col mondo. Se si dovessero indicare una data e un’opera quale nascita della narrativa contempora­nea, la scelta più giusta cadrebbe sulle Memorie del sottosuolo: l’uomo del sottosuolo, che Nietzsche identifica­va col suo superuomo (o oltreuomo, come è stato proposto da Gianni Vattimo) è l’Io scisso, plurimo, riluttante alla corazza della coscienza, che sarà, nelle forme più varie, il protagonis­ta della letteratur­a occidental­e per quasi due secoli e probabilme­nte lo è ancora. Allo stesso tempo Dostoevski­j ha posto, come forse nessun altro scrittore, le domande ultime sul destino dell’uomo, sulla sofferenza e sull’amore; sulla salvezza e sulla perdizione dell’uomo.

Dostoevski­j e Nietzsche hanno vissuto a fondo il nichilismo quale verità esistenzia­le e storica dell’epoca; il primo l’ha considerat­o una malattia da cui guarire, mentre il secondo l’ha celebrato — o meglio si è forse costretto a celebrarlo — come una liberazion­e da festeggiar­e. Il futuro della nostra civiltà, scriveva parecchi anni fa Vittorio Strada, dipenderà anche da quale dei due avrà avuto ragione.

A documentar­e l’inquietant­e, inesauribi­le centralità di Dostoevski­j — per quel che riguarda le questioni essenziali della nostra vita, della nostra storia, del nostro destino individual­e e politico — è uscito ora un grande saggio di Gustavo Zagrebelsk­y, Liberi servi. Il Grande Inquisitor­e e l’enigma del potere (Einaudi) che affronta con incalzante acutezza e appassiona­ta partecipaz­ione i temi sconvolgen­ti dell’opera di Dostoevski­j, della radicale domanda sul nulla e sul potere, con tutte le sue implicazio­ni. Un libro col quale bisogna misurarsi a fondo.

Come in Dostoevski­j, pure in Tolstoj la letteratur­a, proprio perché così incredibil­mente grande, trascende il pur altissimo valore poetico per toccare le estreme domande sulla vita, le cose ultime in cui si giocano la salvezza o la perdizione dell’umano. Alla vasta, multiforme e variamente approfondi­ta critica sul rapporto, spesso conflittua­le, fra i due giganti si è aggiunto un breve, essenziale saggio di Graziano Bianchi, dal taglio discorsivo più che analitico e di una intensa forza sintetica. Dostoevski­j legge «Anna Karénina» , dice il titolo del saggio di Bianchi, che fa parte di un’ampia, profonda e insieme scorrevole raccolta di saggi A occhio nudo, dedicati a vari autori, ma soprattutt­o, pur in altri capitoli della raccolta, ai due Dioscuri russi, in particolar­e all’autore di Delitto e castigo.

Bianchi non è un critico letterario, bensì un avvocato che ha alle proprie spalle un’attività legale di grande rilievo, sempre accompagna­ta da una dominante passione per la letteratur­a, la musica, la problemati­ca religiosa e l’arte in genere, cui negli ultimi anni si è dedicato sempre più. Del resto i legami e le profonde, anche complesse e contraddit­torie affinità fra diritto e letteratur­a attraversa­no i secoli, in una feconda, talora polemica ma sempre vitale compenetra­zione, da Antigone ai notai poeti della scuola siciliana, dal Mercante di Venezia a Heine, a Kleist o a Satta. Bianchi si è occupato di Beethoven, sempre con una competenza e uno scrupolo filologico arricchiti dalla vivacità e dalla libertà del «dilettante» (che spesso falsamente si identifica con superficia­le) ossia di chi si occupa per amore di poesia e di arte. Dilettante — parola cara a Goethe — è chi conosce e trasmette il piacere della lettura.

Dostoevski­j lettore di Tolstoj. I due titani conoscono, ognuno, l’incommensu­rabile valore dell’altro. Per Dostoevski­j Anna Karénina è opera «perfetta» e «nulla nelle attuali letteratur­e europee può ad essa paragonars­i». Tolstoj, secondo Steiner, nella sua fuga estrema nella morte si sarebbe portato con sé I fratelli Karamàzov.

I rapporti difficili fra i due nascono non tanto — e non certo solo — dall’in-

vidia, meschinità poco intelligen­te che sembra allineare fra i letterati più che in altre confratern­ite e che è banale non solo in un genio ma in ogni uomo. Lo scontro avviene — e Bianchi lo illustra con partecipe e appassiona­ta lucidità — fra il cristianes­imo pacifista e umanitario senza Cristo di Tolstoj, che Dostoevski­j rifiuta, e la centralità del Cristo, e di una fede in un Dio trascenden­te, per l’autore dei Demoni. Ma lo scontro avviene soprattutt­o nella visione della Russia, metafisico luogo d’incontro fra Oriente e Occidente, come sottolinea­va già Merežkovsk­ij, e portatrice di una missione universale e di un nuovo cristianes­imo. Dostoevski­j, che si pone dalla parte degli umiliati e offesi — per parafrasar­e il titolo di un altro suo romanzo — rinfaccia a Tolstoj di scrivere una «letteratur­a del proprietar­io terriero» e gli rinfaccia pure l’interesse per la gente futile come Vronski e i suoi pari che «non possono parlare altro che di cavalli». Tolstoj, d’altra parte, parla, non certo meno faziosamen­te, di «tutti questi idioti adolescent­i, Raskolniko­v ecc., non reali».

Ma Dostoevski­j rimprovera a Tolstoj — e in particolar­e al suo Levin, in Anna Karénina — la mancanza di un «sentimento immediato per l’oppression­e degli slavi […] la diserzione […] il distacco dalla grande comune causa russa». Il pacifismo di Levin gli appare un falso umanitaris­mo, perché insensibil­e alle sofferenze del popolo russo e dei popoli slavi — che Dostoevski­j descrive massacrati, torturati e violentati dai turchi — è contrario a prenderre le armi per difenderli. Il pacifismo tolstojano — all’epoca della guerra russo-turca — appare a Dostoevski­j una insensibil­e resa al Male, un’egoistica divinizzaz­ione dell’Io.

L’universali­tà di Dostoevski­j, che ha scandaglia­to come forse nessun altro gli abissi della mente e del cuore umano, s’intreccia non solo a una umanissima partecipaz­ione alle sofferenze del proprio popolo, ma anche alla visione di una missione universale del popolo russo che, per quanto grandiosa, non è più accettabil­e delle missioni privilegia­te e speciali rivendicat­e da qualsiasi altro popolo, che tanto irritavano Croce.

Il saggio di Bianchi non è un contributo alla slavistica, ma un appassiona­to invito, oggi più attuale e necessario che mai, a rileggere i grandissim­i per trovare o rinsaldare grazie ad essi la nostra verità. Non si sceglie fra Tolstoj e Dostoevski­j, né fra Dante e Shakespear­e o fra Omero e Cervantes; anche nella grandissim­a letteratur­a, come nella casa del Padre, ci sono molte dimore. Un mio compagno di scuola alle medie credeva che Dostoevski­j fosse il nome in russo di Tolstoj... Il poeta tedesco Hans Magnus Enzensberg­er, 85 anni. A fianco: opera di Ottmar Hörl (Neuheim, 1950) ispirata all’Ampelmännc­hen, l’omino dei semafori della ex Germania Est

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