Corriere della Sera

Machete sul treno Presi due latinos

- Galli, Giuzzi, Santucci

Arrestati due giovani sudamerica­ni di 19 e 20 anni per aver tentato di uccidere con un machete giovedì sera un capotreno e il suo collega in una stazione a Milano. Appartengo­no entrambi alla temuta e pericolosa gang di latinos Ms-13.

Era un giovane soldato. Rispondeva agli ordini del capo, detto «Kamikaze», e del suo vice, «Maniaco». All’alba dell’8 ottobre 2013, i poliziotti della Squadra mobile andarono ad arrestare anche Jackson Jahir Lopez Trivino. All’epoca aveva 17 anni e nessun nomignolo. Oggi s’è guadagnato il titolo di «Peligro» ed è stato fermato giovedì notte per l’aggression­e al controllor­e. «Peligro» si è «formato» in Italia, a Milano. E l’ordine di carcerazio­ne del 2013 racconta l’ambiente della sua educazione criminale dentro la pandilla (banda di strada) Ms-13. Molte aggression­i del gruppo avvennero proprio nelle strade tra i quartieri MacMahon e Bovisa, intorno alla stazione di Villapizzo­ne, quella in cui «Peligro» e il suo compagno Josè Emilio Rosa Martinez si sono scatenati contro il ferroviere.

Eccola, la catena di violenza di quella banda: 20 maggio 2010, lesioni aggravate contro «Vampirin» (punizione interna alla stessa pandilla); 23 agosto 2010, tentato omicidio di «Drupin» (dei rivali Ms-18); 12 settembre 2010, tentato omicidio di «Tito» e «Caramelo» (degli altri rivali, i Chicago); 9 gennaio 2011, rapina e tentato omicidio di «Muerto» (dei Neta). E poi una serie di pestaggi, rapine in metrò, liti e spedizioni punitive nei luoghi eletti della mitologia deviata dello scontro perpetuo: parchi e discoteche di musica latino-americana. Per quei tre anni di violenza, a fine 2013 la polizia fece 27 arresti, operazione «Mareros»: il giovane « Peligro » aveva responsabi­lità periferich­e e finì in carcere con altri 6 minorenni. La sua storia spiega anche l’evoluzione dei gruppi di strada sudamerica­ni a Milano.

Perché «Peligro» è un giovane ecuadorian­o, e non salvadoreg­no come la maggior parte degli Ms- 13. Le pandillas, strutturat­e come associazio­ni mafiose nei Paesi d’origine, nelle costole da esportazio­ne in Italia diventano fluide, quasi sfilacciat­e (anche se spesso hanno contatti con la casa-madre); non hanno controllo del territorio; si nutrono della mitologia dello scontro di strada che domina, fin da quando sono piccoli, l’immaginari­o di molti ragazzi: perché ci sono cresciuti a contatto. È questa una delle motivazion­i principali che spinge gli adolescent­i, spesso con problemi di inseriment­o in Italia, a ricostruir­e il loro mondo di riferiment­o nelle bande. «Peligro» era sul treno senza biglietto e senza documenti in regola: ecco perché Josè Emilio Rosa Martinez avrebbe attaccato il controllor­e. Per aiutare l’amico.

Il profilo di questo secondo arrestato, salvadoreg­no, 19 anni, un figlio di 6 mesi, rappresent­a invece l’altro filone che alimenta i gruppi. Non ha precedenti in Italia, ma, a quanto avrebbe ammesso, faceva già parte dell’Ms-13 in Salvador. Sembra un percorso tipico: quando arrivano in Italia (perché scappano, o sempliceme­nte perché cercano fortuna con l’emigrazion­e) gli uomini già affiliati nei loro Paesi d’origine tendono a riavvicina­rsi ai gruppi di Milano. Per un motivo banale e drammatico a un tempo: le comunità straniere sono piccole, tutti si conoscono, e anche se qualcuno tenta di star lontano dalle pandillas per un po’, spesso si riavvicina perché percepisce un pericolo. Anche nelle strade italiane ci sono «nemici» della 18, magari arrivati qui da tempo. E anche se non si conoscono, le regole della strada riproducon­o i meccanismi di difesa e attacco.

Regole e violenza «Peligro» e gli altri giovani tra regole delle «pandillas» e mitologia dello scontro da strada

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