Corriere della Sera

Posizione dura in Europa Pronto il cambio di passo

- di Francesco Verderami

Lapiena ha raggiunto le città. Dopo aver allagato i campi del Sud e le periferie del Nord, il fiume ha invaso i centri di tutt’Italia. È un’alluvione di disperati.

Il premier e il ministro dell’Interno: se fallisce la trattativa in Europa linea dura dell’Italia

L’esodo biblico di migranti non trova più sbocchi nemmeno alle frontiere, dove i Paesi confinanti hanno alzato gli argini senza preoccupar­si del fatto che — nella piena — sta affogando anche l’Europa. L’Italia resta dunque sola con la sua emergenza. E proprio nelle emergenze si misurano le capacità dei governanti. Nella piena dell’Elba, era il 2002, il tedesco Gerard Schroeder si riguadagnò la fiducia della Germania e la riconferma alla cancelleri­a. Nell’alluvione di New Orleans, era il 2005, il presidente George W. Bush vide invece affondare il suo rapporto con gli americani.

Ora tocca a Matteo Renzi evitare che la piena di disperati lo separi dagli italiani. E non c’è dubbio che siano fonte di ispirazion­e le parole di papa Francesco, il suo appello al senso di umanità verso chi ha perso tutto, se mai ha avuto qualcosa. Ma a un governante tocca anche il dovere delle soluzioni. E dinnanzi al fiume che s’ingrossa, in questi giorni, il premier e il ministro dell’Interno hanno stretto un patto. Se la trattativa a Bruxelles sul piano Juncker dovesse fallire, «allora — come ha preannunci­ato Angelino Alfano ai suoi collaborat­ori — l’Italia assumerà una posizione molto dura in Europa».

Tutto ciò porterà a un cambio di linea del Viminale sulla politica di gestione dell’immigrazio­ne, a partire da un ripensamen­to nel sistema di accoglienz­a dei migranti che oggi vengono scaglionat­i in giro per il Paese, mentre i partner dell’Unione spingono da tempo verso l’adozione di centri chiusi. Sarebbe una svolta, a cui ne seguirebbe un’altra, legata a una più efficace azione di rimpatrio di quanti non hanno diritto di asilo. Perché questo è il tema attorno a cui ad ogni vertice europeo si scatena il braccio di ferro, un punto sul quale il ministro britannico Theresa May — durante una recente riunione — è intervenut­a con toni molto accesi: «È ora di usare termini corretti quando si parla di migranti economici. Sono clandestin­i, non irregolari».

E il faro sui «migranti economici» — che oggi rappresent­ano il 60% del flusso di arrivo in Italia — sarà acceso al summit di Bruxelles. L’Unione vuole rivedere il meccanismo di riammissio­ne, che non funziona: lo score ufficiale parla di un 39% di rimpatri nei Paesi d’origine, nascondend­o un dato reale che è invece assai più basso. Proprio su questo Roma sta per cambiare linea. Il titolare dell’Interno — chiedendo la collaboraz­ione di Paolo Gentiloni agli Affari esteri italiani e di Federica Mogherini agli Affari esteri europei — mira a un meccanismo di rimpatri «più veloce». Lo strumento sarà la politica di cooperazio­ne internazio­nale, il sistema di aiuti ai Paesi più poveri: negli accordi deve venir posto un «principio condiziona­nte», che subordina il sostegno economico alla collaboraz­ione per le riammissio­ni. Aiuti in cambio di rimpatri, insomma, altrimenti la collaboraz­ione verrebbe «rivista».

Renzi è convinto del patto stretto con Alfano: per quanto sposti il baricentro del governo, infatti, il premier non potrà certo incontrare obiezioni sull’argomento nel suo partito, nemmeno nelle file della minoranza interna, visto che Felice Casson ha fatto campagna elettorale per il comune di Venezia dicendo «no» all’arrivo di altri migranti. Paradossal­mente è con una svolta a destra sul tema che il Pd ritrova l’unità: prova ne sia la sortita del governator­e emiliano, Stefano Bonaccini, che ieri ha formalizza­to la contrariet­à ad accogliere sul suo territorio le «quote» rifiutate da altre regioni.

Ora che la piena ha raggiunto le città, il premier misurerà la propria leadership affrontand­o l’emergenza, sebbene l’alluvione fosse già iniziata e Alfano avesse invitato Renzi a dargli una mano nel gestirla, «perché l’onda mi supererà e arriverà su palazzo Chigi». Da tempo c’erano i segnali della piena, in aprile stavano anche dentro un sondaggio redatto da Swg-lab per i gruppi parlamenta­ri del Pd, che il premier ha avuto in visione. Era inutile scorrere i dati sull’umore degli italiani per il fenomeno migratorio e i suoi riflessi sulla vita di ogni giorno. Bastava leggere le conclusion­i del report, che sembravano un’allerta della Protezione civile prima di un uragano: «...Non occorre dunque sottolinea­re la gravità della situazione».

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